Cover album WILLIE NILE- “New York At Night”Willie Nile, pur originario di Buffalo, si può considerare l’anima rock di New York, di quel rock urbano che ebbe il suo massimo splendore tra la fine dei settanta e l’inizio degli ottanta. Il rocker ci presenta “New York at night” come il seguito ideale di “Streets Of New York” di quattordici anni fa. Il disco è stato registrato lo scorso ottobre negli Hobo Sound Studios di Weehawken, New Jersey ed è l’ennesimo affresco traboccante di musica e vita che il rocker di Buffalo ha saputo dedicare alla sua città di adozione. È un album compatto in cui non ci sono canzoni che si elevano sulle altre, ma che si mantiene solido per tutta la sua durata e che mostra tutta la qualità di Willie come performer.

Prodotto insieme all’esperto amico Stewart Lerman, che ricordiamo in cabina di regia anche con Elvis Costello, Patti Smith e Neko Case. Ad accompagnarlo nell’alternanza di lirismo e adrenalina che pervade questa dozzina di nuovi brani, troviamo un ristretto numero di fidati musicisti che spesso lo hanno supportato anche dal vivo: Il bassista Johnny Pisano, il batterista Jon Weber e i chitarristi Matt Hogan e Jimi K. Bones, a cui vanno aggiunti alcuni ospiti illustri come il blasonato polistrumentista Steuart Smith, che molti ricorderanno nelle più recenti esibizioni live degli Eagles o nei dischi di Rosanne Cash e di Rodney Crowell, il sopraffino tastierista Brian Mitchell, già collaboratore di B.B. King, Levon Helm e Bob Dylan, e, tra i vocalist, il fedele amico Frankie Lee e lo stimato collega James Maddock. Permettetemi di citare anche la copertina dell’album, l’ennesima superba istantanea in bianco e nero scattata dalla compagna di Nile, Cristina Arrigoni, che ritrae il nostro songwriter con le spalle appoggiate a una colonna di una stazione metropolitana mentre un treno gli sfreccia accanto. Basta salire su quel treno della metro per essere trasportati in un viaggio notturno nella ‘Big Apple’

Si parte con la potente ed elettrica “New York is Rockin’” ed è come essere trasportati a quaranta anni fa, al suo esordio omonimo, chitarre a tutto volume, ritmo serrato, un brano che spiega cosa significhi essere nel traffico newyorchese e che ci fa comprendere che esiste una sola città che può essere così descritta. Il ritornello è molto coinvolgente e ci fa immaginare la sua resa su di un palco. Il riff assassino di “The Backstreet Slide” non dà tregua, trascinandoci nei bassifondi poco illuminati della Grande Mela, con la voce del protagonista che si fa più roca e scura, mentre alle sue spalle le sei corde impazzano con gran lavoro di bottleneck, quasi un tributo ad un altro Willie, Deville, quello del periodo iniziale di carriera. “Doors of paradise“ è una ballata d’atmosfera, molto notturna, con un coro gospel sullo sfondo. Piacevole, ma non eccezionale. Decisamente meglio “Lost And Lonely World”, rock elettrico con la voce subito in tiro e una notevole potenza melodica, anche questa perfetta per essere un highlight dal vivo. “A Little Bit Of Love”, come spiega il suo autore, è nata in seguito agli emozionanti incontri che Willie ebbe lo scorso anno con suo padre, giunto alla veneranda età di centodue anni e definito un grande storyteller. Composta al pianoforte nel corso di una notte, fa emergere tutta la sua carica emotiva reggendosi su una melodia limpida e subito assimilabile. Il suo lento crescendo diventa via via irresistibile e ne fa uno dei migliori brani di questa raccolta, sulla scia di altre grandi ballate del passato. Se ancora amate le R’n’R songs allora non c’è niente di meglio che la title track: chitarre infuocate, ritmica a palla, melodia vincente, parole urlate in modo semplice e diretto, da cantare in coro come uno sfogo contro questo mondo che sta andando in malora. Non esiste più nessuno in grado di comporre pezzi simili. Si cambia totalmente con la successiva “The last time we made love”, una piccola perla pianistica con una performance vocale da brividi. Poi, verso la metà, la chitarra entra in scena, ha un suono ruvido, forse vuole meglio sottolineare il tema della canzone.Il gran finale è riservato a un brano che Willie registrò nel 2003 con la sua band di allora, The Worry Dolls. Incredibile che un pezzo di questo livello abbia dovuto aspettare 17 anni per essere pubblicato, si intitola “Run Free” ed è un’esortazione a spezzare ogni tipo di catena e puntare in alto inseguendo i propri sogni. Musicalmente si rivela una trascinante cavalcata elettrica con il piano in bella evidenza e una slide imperiosa che ricama sullo sfondo. A metà strada, acquisisce i colori del gospel grazie all’intervento di un coro di voci femminili che ne accrescono ulteriormente l’impeto e la solennità.

Non sicuramente uno dei suoi lavori migliori, ma teniamoci stretti rocker come Nile, ormai si è perso lo stampino e, in giro, non se ne trovano più!!!


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