Will Hoge è il classico heartland rocker la cui esperienza di vita lo porta ad avere alti e bassi come molti musicisti dello stesso tipo. Nato e cresciuto in Franklin, Tennessee, sobborgo a sud di Nashville, ha sempre avuto a che fare con la musica grazie al padre e agli zii e ad un’enorme collezione di dischi di proprietà del genitore. Abbandonò il Tennessee per iscriversi all’Università di storia del Kentucky con l’intenzione di diventare un professore di storia ed un allenatore di baseball, ma il richiamo della musica fu troppo forte per cui tornò all’ovile, a Nashville e decise di giocare le sue carte sia come musicista che come compositore. Dopo varie peripezie si mise assieme a Dan Baird, fondatore e chitarrista dei The Georgia Satellites ed iniziò a fare concerti nel sud degli Stati Uniti. Pubblicò un disco dal vivo autoprodotto ‘All Night Long: Live at the Exit/In’, il sound originale e molto espressivo attirò l’attenzione di un pubblico sempre più vasto. Nonostante fosse sempre in tournée riuscì a portare a termine il suo primo album in studio ‘Carousel’, le sue performances e i suoi brani riuscirono a smuovere l’interesse di una major come l’Atlantic che gli fece firmare un contratto all’inizio del 2002. L’etichetta gli ripubblicò anche ‘Carousel’ per attirare l’attenzione di un mercato più ampio. Il vero e proprio debutto avvenne nel 2003 con la pubblicazione di ‘Blackbird on a Lonely Wire’ che fu uno sforzo nella giusta direzione ma che non venne adeguatamente promosso dall’etichetta. Hoge chiese allora che il contratto fosse risolto e riottenne anche i diritti su ‘Carousel’. Da quel momento in poi andò avanti con le sole proprie forze, tour su tour inframezzati da pubblicazioni di dischi su etichette indipendenti e continui viaggi per supportare le proprie uscite discografiche insieme al suo gruppo, lo hanno portato ad un bivio: amava scrivere canzoni e suonare sui palchi, ma non sopportava più le dinamiche di essere in una rock’n’roll band, per cui consentì alla sua formazione di proseguire senza di lui e contemporaneamente iniziò un periodo di introspezione e di scrittura più personale da singer songwriter. Nel momento in cui si sentì pronto entrò di nuovo negli studi di registrazione con ottimi tournisti per portare a termine il nuovo album ‘Anchors’. Ci troviamo di fronte ad un’opera con brani scritti e interpretati in modo eccellente, le canzoni sono intrise di country, soul, rhythm’n’blues, di americana in generale. Appassionata è la resa chitarristica di ‘Young as We Will Ever Be’. I riferimenti sono Tom Petty per ‘Baby’s Eyes’ e ‘This Grand Charade’ e per la notturna ‘Cold Night in Santa Fe’. Il suono è essenziale, presente, senza inutili orpelli, sia nelle ballate che nei pezzi in cui le chitarre alzano il tiro. Splendida, anche per futuri sviluppi, ‘17’ con i fiati e slide. Un disco perfetto per guidare lungo strade senza fine che ci permettono di evadere dall’angosciante quotidianità.

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