WILCO – ‘Cruel Country’ cover album‘Penso che nel corso degli anni si sia ipotizzato che i Wilco fossero una sorta di band country’, scrive Jeff Tweedy nelle note di accompagnamento a “Cruel Country”. Come suggerisce il titolo, l’ultima uscita di Wilco è l’album in cui, come dice scherzosamente Tweedy, ‘Wilco goes Country!’. Ma non lasciare che quella giocosità ti inganni. Il nuovo disco non è né ironico, né frivolo: è un doppio tentacolare che si pone come uno dei migliori del gruppo, una meditazione sempre commovente sulla ricerca di connessione in un paese che è spesso crudele, ma sempre degno, agli occhi del nostro, di perdono.

Il rilascio è stato registrato quasi interamente in riprese dal vivo, con pochissime sovraincisioni, e per questo motivo la formazione suona più coesa rispetto al loro precedente “Ode To Joy” (che a volte sembrava un disco solista di Jeff). Ci sono, ovviamente, steel guitar. Ma sono usate meno per evocare la musica country e più per dare un senso di spazio espansivo, che siano quelli aperti del West americano o lo spazio oltre la Terra che ha dato ai nostri così tanto materiale creativo nel corso degli anni.

L’apertura, “I Am My Mother”, vede Tweedy che distorce la propria proverbiale saggezza (‘Ho fatto i calcoli con un bastone nella sabbia, ho preso a calci una lattina contro un recinto’) in un accento dylaniano, qualcosa che va e viene su tracce successive. È una traccia breve e di basso profilo che ci introduce in ciò che segue: 21 canzoni, molte sotto i tre minuti, che riescono a suonare sia originali che comodamente familiari. Anche le composizioni più ovviamente ‘country’ qui sono una prelibatezza succosa piuttosto che un pastiche grattugiato. “Falling Apart (Right Now)” è un allegro honky-tonk che gioca con i tropi innamorati del paese in un modo amabile e schivo (‘Baby, essere blu – quando si tratta di me e te, è sempre nel menu’), e un necessario cambio di marcia dai binari più lenti e introspettivi che lo precedono.

E quanto sono fantastiche quelle tracce: “Hearts Hard To Find” è un pezzo d’amore semplice, ma dolorosamente bello, mentre “Many Worlds”, che apre il secondo lato, è epica per lunghezza e portata, una nuova ed eccezionale voce nel songbook di Tweedy, canzoni sul cosmo. Il suo titolo tocca la teoria dei ‘molti mondi’, degli universi paralleli, ma in termini di contenuto è più interessato al mondo che abbiamo qui e a come la vastità dello spazio – stelle, pianeti, galassie – sia un macrocosmo del nostro minuscolo, vite fragili sulla terra: ‘Quando guardo il cielo, penso a tutte le stelle che muoiono’.

La prima metà di “Many Worlds” riguarda il “Cruel Country” più lontano dalla musica country e una delle poche occasioni in cui la produzione diventa più complessa, di sei persone che suonano i loro strumenti insieme in una stanza. Un altro esempio è “The Plains”, che completa il disco. Sottoposto al suono del vento che soffia sopra un microfono, è folky, chiusura diretta dello spettacolo, decorato con un assolo di chitarra raccolto con ansia poliritmica.

Quel suono ambientale – il suono della libertà e della solitudine, dell’abbandono nel senso migliore e peggiore della parola – è un sostituto di ciò che rende la visione di Wilco della musica country così straordinariamente brillante. Come afferma Jeff Tweedy, ‘Mi piace qui in pianura… Non ha senso essere liberi quando non c’è nessun altro posto dove preferiresti essere’!!!


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