Ci è voluta una compilation perché mi venisse lo spunto per parlare di Wayne Hancock, nessun tipo di parentela con il più famoso Butch. Il buon Wayne è un tipo molto particolare perché, musicalmente, è troppo conservatore per gli hipsters e troppo progressista per i puristi. Viene collocato all’interno del fenomeno “Americana”, ma non è troppo d’accordo su questo fatto, perché considera che all’interno di tale contenitore si possa trovare musica eseguita da musicisti privi di qualsiasi talento e che non esprimano niente di vita reale nelle loro composizioni. Lui ascolta solo i classici, un sacco di big band, texas swing, jazz, country, honky tonk, hillbilly, tex-mex e bluegrass, tutti generi che ha iniziato ad ascoltare fin da bambino. Bob Wills e Hank Williams sono i suoi preferiti, ma tra le sue influenze non possiamo non citare Jimmie Rodgers, Glenn Miller, Tommy Dorsey, Hank Thompson, e Hank Snow perché erano tutti nella collezione di dischi dei suoi genitori.
Durante la sua infanzia, Hancock si è trasferito circa sette volte perché suo padre era un Design ingegnere, che ha insegnato matematica presso i college in tutto il paese. Poco dopo aver scoperto la musica country, Hancock ha iniziato a scrivere canzoni all’età di dodici anni. Lo stile vocale di Hancock è stato inizialmente influenzato da Hank Williams, ed è stato paragonato a lui nel corso della sua carriera. A diciotto anni, Wayne vinse il concorso Wrangler Country Showdown.
Figlio di un veterano della seconda guerra mondiale, Hancock si unì alla United States Marine dove svolgeva il ruolo di reclutatore per la formazione di militari.
Hancock si colloca al di fuori di ogni dialettica che voglia inglobarlo in qualsiasi definizione di genere. L’aspetto temporale non assume alcuna importanza, lui si colloca in un periodo che sta al trapasso dagli anni ‘40 ai ‘50. Lui vive il presente eterno ed immobile, una volta scelto l’anno di riferimento personale.
Questa raccolta dimostra l’amore del nostro nel viaggiare da una città all’altra per concedersi al pubblico attraverso show accattivanti e coinvolgenti, una dichiarazione d’intenti e una lettera d’amore per la vita itinerante. Liricamente ci sono canzoni qui che guardano il lato più difficile della vita sulla strada.
L’album è composto da dodici canzoni estratte dai suoi dischi più un inedito preso dal tributo a Wanda Jackson, “Hard headed woman”, dal titolo “Let’s have a party”.
Vocalmente ci dimostra che l’averlo paragonato al grande Hank Williams, con il tipico tratto nasale, non è offensivo. Per coloro che hanno venduto un pezzo della propria anima all’America risulta un autentico toccasana. Si tratta di musicista letteralmente formidabile che vi consiglio caldamente di ascoltare, magari partendo da questo lavoro per poi recuperare gli altri dischi della sua discografia!!!


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