WATERBOYS- “Good Luck Seeker” cover albumSembra che Mike Scott ci abbia preso gusto, per cui possiamo affermare che la carriera discografica dei Waterboys abbia preso una piega continuativa. È trascorso solamente un anno dal precedente lavoro e i nostri hanno già pronto un altro disco da dare in pasto al loro affezionato pubblico. Probabilmente sarà dovuto, anche, all’impossibilità di poter intraprendere una tournée a causa dei problemi che ben conosciamo per cui Mike mette a frutto la forzata inattività live e produce nel suo studio casalingo in Irlanda il seguito al già ottimo “Where The Action is” del 2019, regalandoci un album, va detto, persino superiore al precedente.

“Good Luck, Seeker” conferma l’ottima vena creativa di Mike Scott, che pur ricorrendo parzialmente a materiale già presente nei suoi archivi e aggiungendo una riuscitissima cover, tira fuori un disco di quelli destinati a diventare un compagno fidato, uno di quelli ai quali puoi rivolgerti più e più volte nel corso del tempo. Registrato durante il lockdown nello studio di casa di Mike a Dublino, il nuovo lavoro mostra la formazione in ottima forma: Scott inviava le tracce agli altri componenti della band, i quali aggiungevano parti dal loro home studio che, una volta rimandate a Scott, venivano nuovamente manipolate.

Dall’esuberante “The Soul Singer”con cui si apre il disco, fino all’elegiaca “The Land Of Sunset”, “Good Luck, Seeker” riunisce tutti gli elementi caratteristici di The Waterboys, popolando i brani di leggende soul, stelle del cinema di Hollywood, maniaci non pentiti, fuorilegge e mistici del XX secolo. La Big Music, il Folk, il Rock, il Soul, la canzone parlata, l’Elettronica, Scott in questo nuovo album riesce a miscelare ogni ingrediente riuscendo a farci immaginare il verde smeraldo, il blu e l’azzurro d’Irlanda con il rosso e il nero del soul e del rock. Ispirato dai Rolling Stones, Kate Bush, Sly e Kendrick, Scott ha fatto irruzione nel suo catalogo di registrazioni e testi per anni accantonati, aggiungendo tamburi groovy, assoli di chitarre, violini fiammeggianti ed organi sgargianti, tra visioni epiche, drammi oscuri ed il tocco pop tipico della musica British. L’album si divide in due parti e la seconda metà è un viaggio mistico tra il parlato di Scott, che deve la propria abilità allo ‘spoken word’ a Bob Dylan: nel 1986 Dylan gli regalò una musicassetta, certo che se ne sarebbe innamorato. Era una registrazione di John Trudell, un poeta nativo americano ed attivista politico che diede alla luce numerosi album parlati prima della sua morte nel 2015.

Si parte con la frizzante “The Soul Singer”, fiati e sezione ritmica in stile Motown pompano questo pezzo che sprizza energia e positività, ancora atmosfere da Black Music nella seguente “(You’ve Got To) Kiss A Frog Or Two”, un pezzo a metà fra Sly e chill music con un pattern di batteria e break parlati di Mike Scott che fanno risaltare l’indovinato ritornello. “Low Down In The Broom” è ricca di atmosfere folk, mentre la seguente, “Dennis Hopper”, propone in maniera più leggera arrangiamenti elettronici e un mid tempo che non fatica a rimanerti in testa. Si arriva così alla cover di Kate Bush, “Why Should I Love You’ del 1993 tratta dall’album “The red shoes”. Rispetto alla versione originale, Mike Scott prova ad aggiungere più dinamismo, inserendo dei break sulle strofe e un grande crescendo di batteria che lancia il finale del pezzo, veramente una bella versione. Da questo momento il disco cambia registro e Scott smette di cantare e inizia a recitare muovendosi tra pezzi epici (“My Wanderings In The Weary Landry”), tributi alla natura e momenti più spirituali.

Sono contento che i Waterboys esistano ancora perché ho sempre apprezzato la loro sincerità di fondo che ha sempre avuto un ruolo dominante anche nei lavori in cui l’ispirazione non era certo ai massimi livelli. Questa nuova raccolta si presenta come un album eclettico, ricco di profumi e sapori, forse uno dei migliori della loro carriera!!!


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