L’album di debutto in studio di Virgin Prunes, “… If I Die, I Die” è uscito l’11 novembre su Mute / BMG. La ‘40th Anniversary Edition’ è rimasterizzata Ed è stata ristampata in vinile per la prima volta dal 1982. Il disco è anche disponibile come edizione mediabook in 2 CD con CD rarità. Entrambe le edizioni sono dotate di note di copertina e fotolibro nuovi di zecca.
La bellezza sovversiva dei Virgin Prunes ha catturato l’immaginazione di generazioni dopo il decennio di straordinaria attività creativa della band, che è andato dal 1977 al 1986. I nostri si sono formati a Dublino, emergendo dalla fitta scena del “Lypton Village”, da cui sono emersi anche gli U2. La scena includeva Gavin Friday e il collega Guggi, Dave-id Busaras Scott (voce), Strongman (basso), Dik Evans (chitarra), Mary D’Nellon (batteria), tutti condividendo un veementemente anti-patriarcale, anti-establishment spirito con le loro diverse origini religiose rafforzando i loro reciproci interessi.
“…If I Die, I Die” è stato registrato ai Windmill Studios di Dublino nell’estate del 1982. Con una delle canzoni più famose della formazione, “Baby Turns Blue”, è stato prodotto da Colin Newman di Wire e continua gli esami dei precedenti dischi di purezza e bellezza. Piuttosto che adottare un formato A/B, ai lati del vinile del 1982 e della copertina dell’album, disegnati da Steve Averill, sono stati dati i colori marrone e blu, che segnalano rispettivamente la terra e il cielo.
Questa edizione per il 40° anniversario contiene l’LP originale, completamente rimasterizzato, oltre a rarità e remix, inclusi mix grezzi inediti di brani come “Ballad of the Man”, “Bau-Dachong” e “Theme For Thought”. Include anche un remix di “Baby Turns Blue” di Colin Newman, originariamente disponibile solo come promo, così come le prime versioni di “The King of Junk” e “Pagan Lovesong”.
Una delle tante influenze di vasta portata del primo round di post-punk dal 1978 al 1984 fu il goth. Mentre i revivalisti successivi hanno cercato di restringere il post-punk in rigidi confini, l’ho visto come un secondo tentativo, e più riuscito, di una sottocultura utopica di completa libertà, dopo che l’era hippie psichedelica si è trasformata in cinismo ed egoismo. Mentre la cultura goth è mutata nelle sue stesse variazioni di rigidità, nel 1982 era ancora indisciplinata e sperimentale. Un esempio perfetto sono stati Virgin Prunes.
Provenienti, come anticipato sopra, dalla stessa comune post-hippie e proto-punk (The Lypton Village) che generò gli U2, i Prunes si imbarcarono in una serie sperimentale di singoli ed EP nel 1981 che condividevano tutti il titolo “A New Form of Beauty”, che ricordava i primi Public Image Ltd., Cabaret Voltaire e Coil. Il lungo, 10:39, “Beast (Seven Bastard Suck)” è stato molto più terrificante di qualsiasi cosa Bauhaus avesse fatto. I loro spettacoli dal vivo artistici e teatrali sono valsi loro una commissione artistica per creare la propria interpretazione della follia, risultando nei doppi EP “Heresie” (1982). Per il loro primo rilascio ufficiale, hanno collaborato con Colin Newman di Wire e hanno creato il loro lavoro maggiormente accessibile, “…If I Die, I Die”. Ancora non è un ascolto facile, è un album sconcertante e stimolante da cui potresti aver bisogno di una pausa, ma alla fine sei costretto a tornare ripetutamente.
Le esibizioni per gran parte del disco sono intense, con l’interazione di tre cantanti: Gavin Friday, Guggi e Dave-id Busaras, percussioni tribali, linee di basso incombenti e chitarre svolazzanti. “Sweethome Under White Clouds” e “Baby Turns Blue”.
Il misterioso, incomprensibile balbettio in “Bau-Dachong” è il linguaggio Bo-Prune inventato dalla band. Il singolo dance-punk “Pagan Lovesong” è diventato un punto fermo nei club goth e punk per il resto del decennio. “Ballad of the Man” è ancora più delicato e melodioso, il che potrebbe aver intrufolato la band in una rotazione con il synthpop New Romantics, con testi che satirizzano i temi che si trovano comunemente nelle canzoni di Bruce Springsteen e Thin Lizzy.
“Walls of Jericho” è più inno sulla falsariga degli Skids (il cui Stuart Adamson è andato nei Big Country). Il lavoro diventa ancora più strano alla fine con la sperimentale e psichedelica “Chance of a Lifetime” e gli ululati strazianti di “Yeo”. Questa opera merita attenzione ed è rimasta sotto il radar, anche se è arrivata #74 nel sondaggio Slicing Up Eyeballs nel 2013 e #64 nel recente nel sondaggio ‘#5 albums 82’ su Twitter.
Se qualcuno vi chiedesse chi fu la grande rivelazione irlandese all’inizio degli anni ottanta la vostra risposta dovrà essere i Virgin Prunes, non azzardatevi a citare gli U2!!!
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