Il pianista indo-americano ha fatto incetta di riconoscimenti nell’annuale TOP JAZZ 2017 redatto dalla rivista specializzata Musica Jazz.
Miglior disco, musicista e gruppo dell’anno per la sua ultima fatica uscita su ECM dal titolo “Far from over”.
Vijay è statunitense di nascita, ma è figlio di immigrati indiani Tamil. È stato molto precoce avendo iniziato a suonare il violino alla tenera età di tre anni e, durante l’adolescenza, il piano come autodidatta.
La sua carriera come pianista jazz si è sviluppata, per la maggior parte, con il suo trio composto da Stephan Crump e Marcus Gilmore. Ha lavorato anche con Steve Coleman, Roscoe Mitchell, Wadada Leo Smith ed Oliver Lake.
Bizzarra fu la collaborazione, nel 2003, con Mike Ladd poeta, produttore ed artista hip-hop con il quale realizzò l’album “In what language?” un’opera circolare sugli aeroporti, la sorveglianza e la paura prima e dopo l’undici Settembre, commissionata dalla Asia Society.
Iyer ha inciso per parecchie etichette quali PI Recordings, Savoy, Act ed ora per la ECM.
Durante la sua attività ha ricevuto diversi riconoscimenti tra cui il MacArthur fellowship, è stato insignito dell’onorificenza di pianista, musicista e trio dell’anno nel 2012 dalla prestigiosa rivista chicagoana Down Beat ottenendo la “Triple Crown”
Lo scorso settembre ha dato alle stampe “Far from over” con una formazione in sestetto in cui al classico trio con Stephan Crump e Tyshawn Sorey si sono aggiunti i fiati di tre magnifici improvvisatori quali Steve Lehman, Graham Haynes e Mark Shim.
Ne risulta un disco intriso di moderno multistilismo, mai di maniera, ma sempre teso a spingersi ancora più avanti.
La musica può essere esplosiva, liberatoria, ben ancorata alla melodia che crea atmosfere incantevoli, ma partendo sempre dal ritmo, dal groove. L’album è stato registrato agli Avatar Studios di New York sotto l’attenta regia di Manfred Eicher.
Le situazioni stilistiche sono varie, a volte drammatiche, altre sembrano più astratte ed oniriche.
Stupendo è il brano “Down to the wire” che possiede un andamento nervoso, ma mette in mostra un interplay in cui l’improvvisazione non è mai solistica, ma di gruppo.
Un’opera che dimostra come Vijay Iyer sia sempre in movimento, non si siede sugli allori, ma ricerchi in continuazione nuovi stimoli per creare una musica che giunga alle nostre orecchie come qualcosa di contemporaneo.
La sua è una sfida perché ogni volta sembra non sapere cosa andrà a suonare, ma questa presunta debolezza si trasforma in arma vincente perché permette di accedere alle emozioni più autentiche.

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