UNSCIENTIFIC ITALIANS – ‘Play the music of Bill Frisell vol.1’ cover albumNato nel 2008 in occasione di una mini-rassegna dedicata dal Centro D’Arte di Padova alle attività del collettivo El Gallo Rojo, il progetto è finito nel cassetto per restarci oltre dieci anni e ritornare alla luce nel 2020, con un organico ed un repertorio rinnovati, in occasione di una fortunata due giorni di prove, concerti (al Jazz Club Torrione di Ferrara) e registrazioni (al Teatro Asioli di Correggio).

Bill Frisell è senza dubbio uno dei musicisti più influenti nel panorama jazzistico odierno e il 18 marzo di quest’anno ha festeggiato il settantesimo compleanno. Le sue composizioni sono, tuttavia, poco esplorate: vuoi per via della mancanza della necessaria distanza critica, vuoi perché il loro piglio apparentemente semplice nasconde pieghe difficili da penetrare a chi non vi si accosti con la dovuta attenzione.

Pochi discuterebbero contro lo status di Bill Frisell come uno dei chitarristi/compositori più singolari e influenti dal 1980 circa. Eppure, il musicista nato a Baltimora rimane una sorta di enigma: facile da ammirare ma un po’ più difficile da definire. Immediatamente riconoscibile da una manciata di note, Frisell è, allo stesso tempo, un poliglotta della musica, la cui ampiezza musicale, in particolare le sue miriadi di collaborazioni, forse non ha eguali. Qual è quindi il modo migliore per avvicinarsi alla sua musica?

Dal punto di vista musicale, Unscientific Italians non è tanto un omaggio o una rielaborazione orchestrale del repertorio di Bill, quanto piuttosto una riscrittura ed orchestrazione idiosincratica che mutua il linguaggio compositivo e strumentale del chitarrista statunitense. È un lavoro che ha anche un valore documentaristico, poiché dà ampio spazio a quella fase seminale della produzione discografica di Frisell – fine anni ottanta/ primi anni Novanta – che oggi sembra essere dimenticata nonostante la sua definitiva consacrazione da parte del pubblico e della critica. Questa uscita discografica, la prima di due volumi, viene pubblicata in formato digitale ed in vinile, col beneplacito dello stesso chitarrista, che ha generosamente donato alcuni dei suoi schizzi per la grafica di copertina.

Il gruppo è composto da undici elementi alla cui testa si trova Alfonso Santimone e si approcciano alla musica del chitarrista che meglio conoscono. Occupando uno spazio dinamico e fluido da qualche parte tra una big band, un astuto ensemble da camera e un piccolo combo swingante, gli Unscientific Italians si immergono profondamente nel mondo armonico e melodico di Bill fin dall’inizio, con un intreccio delicatamente intricato di fiati su “Before we were Born”; in poco più di un minuto, la brevità di questo bell’arazzo sonoro smentisce la complessità del grafico, dove la musica sembra salire e scendere simultaneamente. Con la musica di Frisell c’è spesso un senso di gioco di ombre, dove belle melodie e tonalità complessivamente più scure sono due facce della stessa medaglia. Questa ambiguità emotiva è uno dei capisaldi della gestione della musica da parte di Unscientific Italians, in particolare su “Probability Cloud”, la cui intro tagliente, colorata da abile elettronica e cupo contrappunto contrastano con la gioiosa libertà nei successivi assoli e in i ritmi vivaci del contrabbassista Danilo Gallo e del batterista Zeno De Rossi.

La band lancia un incantesimo ipnotico sulla lenta combustione di “Unsung Heroes”, dove groove da mantra, polifonia malvagia e improvvisazioni blues creano una potente miscela. Il vortice polifonico colora anche la maniacale “Hangdog”, che trasmette la curiosa sensazione di una partitura meticolosa mascherata da improvvisazione… o viceversa. Gli schemi di Santimone sono complessi, conseguenza inevitabile del numero di singole voci che combina, ma la semplicità intrinseca e, in essa, la bellezza delle melodie del chitarrista non vengono mai sacrificate all’altare dell’innovazione.

La strumentazione è centrale nell’originalità, con sassofoni e trombe affiancati da corni francesi, flicorni e tromboni, mentre il pianoforte è usato solo con parsimonia. Il clarinetto basso e il corno francese forniscono un oscuro ventre alla melodia allegra di “Rob Roy”. Una pausa collettiva, pregna della possibilità di un mistero più grande da svelare, lascia invece il posto a un rovente assolo di sassofono che trascina l’ensemble in un esplosivo decollo da big band.

Un meraviglioso omaggio a più livelli a Frisell, gli Unscientific Italians superano la prova a pieni voti!!!


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