Chiamala la versione jazz dell’anno che ti fa sentire bene. “Lifted”, il primo album del trombonista e cantante di New Orleans, Trombone Shorty, in mezzo decennio, è una celebrazione delle influenze musicali e delle radici familiari che hanno dato origine ad un popolare intrattenitore che ha suonato al Jazz Fest a New Orleans con Bo Diddley all’età di quattro anni e ha guidato la sua banda di ottoni a sei. Tre decenni dopo, il musicista, nato Troy Andrews, fa il tutto esaurito nei festival di tutto il mondo e produce registrazioni che catturano perfettamente lo spirito gioioso dei suoi concerti.
Pochi altri artisti della Louisiana possono competere con il dominio di Troy Andrews nel diffondere il mojo di New Orleans in tutto il mondo. Ha suonato in tutti i principali festival, dal Newport Jazz Festival al Coachella e al Bonnaroo, predicando il gospel della sua musica roots vivace, gioiosa e soprattutto ballabile come ambasciatore non ufficiale dal suo terreno di calpestio sudista.
Per “Lifted”, dedicato alla defunta madre, Lois Nelson Andrews, ottiene solide performance da diversi artisti ospiti. Il suo rauco modo di suonare fa da contraltare alla chitarra pungente e nervosa del sensazionale bluesman di Austin, Gary Clark Jr. in “I’m Standing Here”, che allude al rock alla Hendrix. La cantante Lauren Daigle, una compagna della Louisiana, approfondisce “What It Takes”, una melodia accattivante dalle sfumature gospel che beneficia di una sezione di fiati incisiva e dell’assolo di tromba del leader. E Andrews rende omaggio ai suoi esordi musicali con il funky e strepitoso “Everybody in the World”, con la New Breed Brass Band; incorpora l’hip-hop e strizza l’occhio all’anima solare e multicolore di Sly and the Family Stone, così come altre tracce qui.
Come i concerti di Shorty, il disco è una specie di spettacolo di varietà desideroso di piacere, dalla chitarra wah-wah, groove pesanti e voci in parte in falsetto dell’apertura “Come Back” al turbolento hard rock della title track, il tempo medio la spavalderia sentimentale di “Forgiveness”, il pop-rock vivace di “Miss Beautiful” e il funk scattante di “Might Not Make It Home”.
La combinazione di ottoni in stile Earth, Wind & Fire con il profondo groove funk di Prince e i ritornelli da cantare insieme crea brani come “Might Not Make It Home”, “Come Back” e “Good Company” esempi inebrianti di Shorty al suo massimo.
L’album riflette un assaggio parziale dell’energia sudata generata in un tipico concerto del nostro. Eppure c’è abbastanza potenza pulsante in queste esibizioni per dimostrare che il frontman ha sfruttato il proprio entusiasmo dal vivo per lo studio. Questo rende il rilascio un altro succulento antipasto, che allude a un pasto ancora migliore quando scatenerà queste canzoni sul palco!!!
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