Il nuovo album di Tomberlin (alias Sarah Beth Tomberlin) suona come un’antologia di frammenti più che una raccolta di canzoni. Le singole tracce non hanno inizio, metà e fine convenzionali. Invece, sembrano abitare in uno spazio in cui il tempo non passa. La musica esiste come presenza. C’è qualcosa di cosmico nell’esperienza, lievitata dal senso dell’umorismo di Tomberlin.
L’accompagnamento strumentale è spesso austero e naturale. Può assomigliare agli zoccoli di cavallo che emettono un ritmo, al fruscio del vento o allo scontro di rami di alberi e pioggia durante una tempesta tranquilla su canzoni come “Tap”. Anche gli strumenti convenzionali suonano bene, come il tubare di uno strumento ad ancia, la leggera pennellata di una chitarra ed il tintinnio dei tasti del pianoforte sull’adorabile “Collect Caller”.
Le canzoni più forti, come “Stoned”, iniziano a un volume più alto e rimangono lì. Sarah Beth non ha paura che la musica vada stonata perché tiene tutto fermo. Le composizioni non svaniscono tanto quanto finiscono.
‘Che senso ha se so come va a finire’ canta Tomberlin in “Happy Accident”, mentre lei ironicamente spiega che è questo il punto; non sappiamo mai come va a finire. In questo caso, sta scrivendo di una storia d’amore, ma questo è coerente con il suo atteggiamento nei confronti dell’esistenza nelle altre tracce. Poiché tutto è incerto, come facciamo a sapere cosa conta? E se non sappiamo cosa è importante o rilevante, come dovremmo agire?
La nostra è cresciuta figlia di un pastore battista e ha frequentato il college in una scuola cristiana privata. Le sue prime esperienze musicali furono con la chiesa. Si ribella all’ortodossia, ma trova conforto nell’affrontare questioni spirituali. Questo informa i suoi brani su amici e amanti e altre questioni esistenziali. ‘Canta come se fosse una preghiera / Canta come se nessun altro fosse lì’, canta “idkwntht” (abbreviazione di “Non so chi ha bisogno di sentire questo”), ma non la canta da sola. Ogni suo verso che canticchia è ripetuto da una voce maschile parlata appartenente a Felix Walworth). Tomberlin dice che canta per sentirsi meglio, ma le prove suggeriscono che ha bisogno di sentirsi ascoltata.
È il primo disco realizzato in uno studio vero e proprio, al Figure 8 Recording di Brooklyn; l’ha co-prodotto con Philip Weinrobe, con Shahzad Ismaily e Told Slant, di Felix Walworth, serve come band di supporto. C’è un po’ di più di tutto: battere i tasti, spingere delicatamente la batteria, fiati espressivi, ma è tutto applicato con una mano abile. È un lavoro estremamente considerato; ogni suono e la sua mancanza sembra intenzionale. Lascia molto spazio aperto nella propria musica, optando per arrangiamenti semplici che permettono alla sua voce e alle sue melodie che facciano il lavoro pesante emotivo. I pezzi sono scarni ma non scheletrici.
La musica che fa Tomberlin può essere modesta: richiede pazienza e immobilità a cui può essere difficile aggrapparsi in un mondo sempre più caotico. Crea uno spazio per sé stessa e per i suoi ascoltatori che ti fa avvicinare un po’ e sentire quella connessione. Mette a nudo le sue emozioni disordinate e spera che risuoneranno con qualcuno, da qualche parte!!!
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