Questa condizione di recluso porta la mia mente a vagare nel tempo e, tra i tanti porti in cui è attraccata, ha deciso di sostare più a lungo in quello rappresentato da “Songs for the daily planet” di Todd Snider. Credo che siano in pochi a ricordarsi di questo disco uscito nel lontano ottobre del 1994, vecchio ormai di un quarto di secolo. Io, invece, non lo posso dimenticare perché lo acquistai a New York proprio nel momento della sua uscita, motivo per cui mi ci sono affezionato, forse oltre il suo reale valore artistico.
L’etichetta per cui uscì è la Margaritaville di proprietà di Jimmy Buffett, il quale lo presenta come un performer che sul palco sa fare veramente di tutto. Todd proviene da Portland, Oregon, un punto in alto a sinistra nella mappa degli Stati Uniti. Come tanti suoi conterranei ha girato gli States in lungo e in largo (Texas, Georgia, Tennessee) prima di fermarsi a Memphis ed essere scoperto da un membro della band di Buffett.
Snider è un puro, non finge, scrive testi taglienti come lame di rasoio, le melodie sono secche e concise, tra folk e blues. Non è da tutti porre all’inizio del lavoro “My Generation pt.2”, con chiaro riferimento a quella uscita circa trent’anni prima, in Inghilterra, da parte di un gruppo che faceva di nome The Who. La sua versione dice ‘di voler morire prima di diventare vecchio’ come quella dei più famosi inglesi, ma poi è accompagnata da un rullante a tempo di country e qualche chitarra con l’effetto twang a ritmare con l’armonica.
L’album mi suona ancora splendido come quando lo ascoltai per la prima volta. Liriche che non fanno sconti a nessuno, ma sempre a ragion veduta. La musica che le accompagna è scarna, pochi strumenti, piano, sezione ritmica, armonica e chitarra elettrica. Allora era il “the new kid in town” del cantautorato oggi si è perso, ma questo disco è destinato a rimanere!
Arriva “Allright guy” e fin da subito comprendi quanto Dylan ci sia in queste note fino al primo ritornello dove appaiono le Rickenbacker e le armoni vocali care a Tom Petty. Storie già sentite, ma lavorate con gusto e profondità di pensiero per non scadere nel banale. Tra tutte l’esempio migliore risulta essere “You think you know somebody” in cui il protagonista, tale Jackie, picchiato da piccolo, diventa un padre violento.
Ironia della sorte questo esordio arriva in radio con un brano, “Talkin’Seattle grunge-rock blues”, una canzone inclusa nel suo debutto come ripensamento e contenuta come traccia “nascosta”, un bel mix tra il Dylan degli esordi e il protest-folk di Billy Bragg.
Non c’è spazio per la noia, ecco “Easy money”, uptempo sudista e bluesato, con tanti sapori alla Little Feat, mentre “Joe’s blues” sa farsi notturna e jazzata come se fosse eseguita in un locale fumoso e malfamato. Ma il disco cresce con l’ascolto ed ecco allora tracce, non subito d’impatto, che fuoriescono alla grande. “Turn it up” dalle forti tinte blues, con chitarra in evidenza e ritmica adeguata, “Trouble” honky tonk country, di matrice texana, un po’ indolente, ma intrigante vocalmente mentre un violino ricama in secondo piano e ancora “A whole lot more” con l’armonica protagonista per una tipica ballata folk rock dotata di un riff centrale facilmente memorizzabile.
Una raccolta in cui acustico ed elettrico vanno a braccetto, una fisarmonica è pronta a puntellare saltuariamente ove necessario e una sei corde elettrica di grande impatto emotivo (Eddy Shaver figlio di Billy Joe). Non c’è bisogno di altro perché il resto è cucinato da Todd come solo i grandi chef sanno fare. Se non lo apprezzate, non amate la buona musica!!!


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