Shabaka Hutchings e il suo sassofono saltellano con invidiabile nonchalance da un progetto all’altro nell’arco di pochi mesi. Facciamo la conoscenza con il sassofonista inglese. Nativo di Londra, ma trasferitosi e cresciuto nell’isola di Barbados dall’età di sei anni, per poi fare ritorno in tempi recenti in Gran Bretagna.
Barbados è stata una colonia fino ad un passato non troppo lontano. La principale ricchezza è rappresentata dalla coltivazione della canna da zucchero. La festa di fine raccolto è uno dei momenti più attesi dall’intera popolazione e prende il nome di Crop Over, la cui origine risale alla fine del 1700. Tanti sono gli eventi che si susseguono durante questa festa, il più significativo dei quali è, sicuramente, il Grand Kadooment, una parata carnevalesca in cui tante maschere di ancestrale tradizione africana si riversano per le strade di tutto il paese riuscendo a generare euforia irrefrenabile. Shabaka ha sempre avuto un grande piacere a seguire questa parata, e, da grande, ha saputo introdurre nella sua musica i tratti salienti del Grand Kadooment, dal punto di vista della gioia e della trascendenza. Questo aspetto viene a galla soprattutto nel progetto dei Sons of Kemet per quanto riguarda la tribalità, mentre è la cosmicità a rientrare nei The Comet is Coming.
Il gruppo è composto, oltre che da Hutchings, da Danalogue (tastiere/elettronica) e da Betamax (batteria). I nostri si incontrarono a Los Angeles e si accorsero di condividere alcune passioni musicali molto eterogenee quali Sun Ra, Jimi Hendrix, Can, Mahavishnu Orchestra e Death Grips. Vi chiederete, incuriositi, che musica propongano Shabaka & Co.? Tra le tante etichettature lette, credo che space jazz sia la più appropriata.
L’album inizia con l’introduzione cosmica di “Because the end is really the beginning” con un assolo appassionato di Hutchings, che alle mie orecchie ricorda il divino Wayne Shorter. “Birth of creation” si sposta verso un tribalismo grazie ai canti del sax a cui però si affiancano ipnotiche percussioni elettroniche.
Più terrena risulta essere “Blood on the past” attraverso melodie nordafricane, che sono accompagnate dai versi declamati da Kate Tempest. Se volete un pezzo a cui è difficile sfuggire ascoltate “Summon the fire”, un groove elettrico che ti fa muovere tutto il corpo, e che funge da base per un assolo di sax strepitoso.
Siamo al cospetto di un disco molto accattivante, che avrebbe potuto essere ancora migliore se solo la produzione avesse spinto per una minor levigatezza del sound, reso i groove più sporchi e magmatici e spinto per strutture maggiormente scarne. Forse sono solo mie impressioni perché “Truth in the lifeforce of the deep mystery” è davvero un gioiellino da ascoltare più e più volte!!!


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