Steve WInwood, il ragazzo prodigio che ancora adolescente suonava nelle formazioni che accompagnavano grandi bluesmen come Muddy Waters, John Lee Hooker, Howlin’ Wolf e B.B. King.
Nel 1963, assieme al fratello Muff entra a far parte dello Spencer Davis Group; la sua voce intrisa di soul è il marchio di fabbrica del gruppo, e nel giro di un anno porta in classifica pezzi storici come ‘Gimme Some Lovin’ , ‘I’m A Man’, ’Somebody Help Me’. Nel 1967 formò i Traffic una delle formazioni più interessanti di tutto il rock britannico tra la fine degli anni ’60 e la prima metà dei ’70. Il gruppo mette a frutto la capacità di Winwood di miscelare rock, soul, folk and jazz, e grazie alla sua voce espressiva e unica, per me la migliore assieme a quella di Eric Burdon di tutto il rock inglese del periodo, diviene tra i più amati dal pubblico. Nel 1974 la formazione si scioglie e Stevie inizia una serie di collaborazioni con vari musicisti, quali John Martyn, Sandy Danny, Marianne Faithfull. Suona anche nei Go di Stomu Yamashta. Nel 1979 è fondamentale per la sua carriera solista l’incontro con Will Jennings, paroliere texano che vanta collaborazioni con i Crusaders, Barry Manilow e B.B. King. Questa collaborazione durerà per tutti gli anni ’80 e permetterà al nostro di produrre una serie di album di successo, forse un po’ spinti sul versante pop e con arrangiamenti che ammiccano alle mode e ai suoni del momento. In una carriera ormai cinquantennale, che ci crediate oppure no, Stevie non ha mai pubblicato dischi dal vivo a suo nome, ci sono quelli coi Traffic, il ‘Live from Madison Square Garden’ uscito nel 2009 in collaborazione con Eric Clapton.
Proprio in questi giorni questa mancanza è stata superata grazie all’uscita di ‘Greatest Hits Live’ dato alle stampe dalla Thirty Tigers. L’attesa è stata lunga ma ne è valsa la pena. Il disco è una splendida carrellata su tutta la sua carriera. È un album doppio di ventitré canzoni che passa in rassegna lo Spencer Davis Group, i Traffic e la sua carriera solista. I musicisti che lo accompagnano, José Neto, chitarra, Richard Bailey, batteria, Paul Booth, sax, flauto ed hammond lo seguono rispettosi ma mettono in mostra anche una dose di personalità e creatività che permette alle canzoni di assumere al contempo nuova linfa pur rimanendo fedeli agli originali. Il primo disco è quello più legato alla forma canzone con l’iniziale ‘I’m A Man’ che dà una partenza poderosa all’album. Ci sono pezzi dei Blind Faith, ‘Can’t Find My Way Home’ e ‘Had to Cry Today’ che suonano come mai non hanno fatto. Splendida la versione di ‘Dear Mr. Fantasy’, molto fluida con la voce di Winwood grande protagonista ed una chitarra che pennella la melodia. Chiude il primo disco una ‘Gimme Some Lovin’ viva e magica come non mai. Il secondo disco è più Traffic, più jazz e più improvvisato. Apre ‘Rainmaker’, una delle mie favorite, in modo molto scorrevole. Il climax è rappresentato da ‘Glad’, il pezzo strumentale che era stato il simbolo di John Barleycorn, una versione superba e jazzy in cui giganteggia il sax. Anche ‘John Barleycorn’, la canzone, fa venire la pelle d’oca con la sua melodia senza tempo. Chiudono quattro brani della sua carriera solista, con belle versioni di ‘Arc of a Diver’ e ‘Roll with It’, ricche di pregevoli intuizioni.
Un disco per nostalgici? Certamente, ma anche un album splendidamente suonato ed arrangiato e senza manipolazioni che ci riporta a quelle opere in cui tutto sembrava più sincero ed innocente.

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