SONGHOY BLUES: “Optimisme” cover albumFigli del Mali. Artisti rivoluzionari. Rifugiati. Virtuosi. Sopravvissuti. Star del rock. Indimenticabili e incontrovertibili, Songhoy Blues rappresentano il futuro del rock n’ roll africano ed è interessante che abbiano pubblicato il terzo album, “Optimisme”.

Questo disco multilingue di 11 tracce segna una vera e propria svolta musicale. Più duro e immerso nella musica tradizionale maliana e nel desert blues dal sound moderno, il lavoro è stato prodotto da Matt Sweeney dei Chavez, che ha prestato i propri servigi a numerosi artisti quali Johnny Cash, Run the Jewels, El-P, Cat Power e Will Oldham, e registrato e mixato da Daniel Schlett (The War on Drugs, Modest Mouse, Ghostface Killah) a Brooklyn, NY.

Se “Optimisme” riguarda qualcosa, allora ha a che fare con la libertà. Sono passati otto anni da quando i membri dei Songhoy Blues sono stati spinti a fuggire dalle loro case nel nord del Mali, costretti ad abbandonare un regime jihadista omicida che ha vietato la musica. Da allora, la band ha deciso di diffondere una filosofia di libertà, producendo musica di protesta su cui ballare – una reazione gioiosa, per dimostrare agli oppressori ovunque che non bisogna arrendersi di fronte alle minacce.

Nel loro ultimo disco, la formazione inchioda subito i colori all’albero maestro. “Badala”, brano di apertura dell’album e primo singolo, è la storia di una donna maliana disarmata che combatte contro il patriarcato. Spinta da un riff di cui Tom Morello sarebbe orgoglioso, la canzone (il cui titolo tradotto all’incirca in inglese come “I don’t give a shit”) è sia un assaggio di un LP che si dimostra una delle chiamate più ‘in-your-face’ per la giustizia che si ascolterà nel 2020.

Rispecchiando questo approccio senza fronzoli, Songhoy Blues è tornato per lo più alla produzione essenziale del loro debutto nel 2015 “Music in Exile”. Mantenendo il suono piacevolmente diretto, l’enfasi è stata posta sull’abilità della band per scoprire i riff e trovare un groove. Tutto ciò significa che otteniamo un disco che colpisce duro come un primo album degli AC / DC, ma è ancora ballabile come un taglio di Rick James. “Fey fey” tratteggia una situazione che vede un paese spaccato in due, mentre “Gabi” è un atto di denuncia dei matrimoni forzati. Con il canto corale di “Kouma” si assiste alla rabbia nei confronti dei politici che sanno dispensare solo frottole, “Barre” è un’invocazione contro la corruzione dilagante, mentre “Korfo” riguarda il ricordo della schiavitù che i paesi europei utilizzarono per soggiogare il popolo africano. Musicalmente l’approccio passa da momenti hard-rock ad una elettricità che vede “Worry” come il pezzo simbolo.

È una ricetta che trasforma “Optimisme” in un disco arrabbiato che in qualche modo celebra ancora la pura gioia di essere vivi. E, siamo onesti, tutti possiamo fare qualcosa del genere adesso!!!


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