A ventisei anni dall’esordio e dopo ventun anni di silenzio, esce il nuovo lavoro degli Slowdive, gruppo pioniere dello shoegaze. Non sembra esser passato così tanto tempo…. Rispolverano il loro stile, in tutto e per tutto…. Poche note, tanti echi ed effetti dati appunto dall’utilizzo del pedale shoegazer sulle chitarre. Anche le voci, preminente quella di Neil Halstead, più sporadica quella di Rachel Goswell, sono addizionate da effetti. Lunghi brani che trasmettono una sorta di sensazione di rilassatezza e pacatezza, tutti molto simili. Tanti piccoli riff di chitarra balbettati, composti da poche note che restano nel cervello, poi grandi aperture luminose ed esageratamente artificiose…
La sezione ritmica è ininfluente, tiene sempre un tempo pari e sottolinea con la luce data dal suono dei piatti le aperture delle linee melodiche delle trame chitarristiche….
Nel loro momento di gloria, quando erano alla corte di Alan McGee della Creation (1991-1995), Eno non esitò a definirli geniali e a suonare in un paio di brani del loro secondo album ‘Souvlaki’.
Il grosso limite di questo disco, che è anche il limite della band, è che di ambienti ne sanno creare solo uno, ogni loro lavoro ha lo stesso colore….. l’unica variante è la percentuale di pop che in qualche pezzo può essere maggiore rispetto ad altri. E forse dovrebbero limitarsi a citare se stessi…. Nella canzone di apertura, ‘Slomo’ ci aspettiamo quasi la voce di Springsteen, da tanto l’incipit ricorda ‘Streets of Philadelphia”, e in chiusura d’album, le quattro note al piano reiterate per tutto il brano, non possono non far ricordare un piccolo frammento di ‘Merry Christmas Mr. Lawrence’ di Sakamoto.
Alzo le mani: a me sono inutili, a voi la scelta di farvi tentare da questo rimando di luci create dal suono.

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