La copertina ci mostra un Sherman Holmes con un volto segnato dagli anni e dai dolori che lo hanno colpito in tempi recenti.
Le dolorose perdite del fratello Wendell e dell’amico Popsy Dixon, morti entrambi nel 2015, non devono essere state facili da superare. I tre erano noti come The Holmes Brothers.
Ancora ricordo le emozioni e la gioia provate all’ascolto del loro album d’esordio “In the spirit” nel 1990 pubblicato dalla Rounder Records. Si trattava di un blend di blues, soul, gospel, R’n’B e country, ma ciò che impressionava era l’uso delle voci che erano in grado di creare suggestioni di una profondità incredibile.
Nel corso della loro carriera difficilmente mi hanno deluso. Hanno inciso, oltre che alla Rounder, anche per la Real World di Peter Gabriel (primo gruppo americano a firmare per la prestigiosa etichetta di Bath) e la Alligator di Chicago.
Innumerevoli le collaborazioni tra cui mi piace ricordare quelle con Van Morrison, Willie Nelson, Odetta, Levon Helm e Rosanne Cash.
Il loro seguito se lo guadagnarono suonando regolarmente nei festivals estivi di folk, blues, gospel e jazz.
Nel 2014 riuscirono, tutti insieme, a partecipare alla premiazione come migliore band della tradizione musicale americana durante la cerimonia della National Heritage Fellowship.
Ora, a distanza di tre anni dalla dipartita dei suoi compagni di viaggio, Sherman ha deciso che è il momento di riprendere il percorso dal punto in cui si era interrotto.
“The Richmond sessions” è stato registrato in Virginia perché si sa che avere a che fare con le certezze dell’aria di casa può essere utile alla riuscita di un lavoro. Gli studi di registrazione sono quelli denominati Montrose, i musicisti coinvolti sono tra i migliori che si potessero scegliere.
C’è il coro delle Ingramettes, il polistrumentista Jared Pool (banjo e chitarra), Rob Ickes (dobro), Sammy Shelor (banjo) più un considerevole numero di ospiti tra cui citerei Joan Osborne che accompagna Holmes in “Dark end of the street” per una versione struggente che sembra dipingerci un tramonto.
“Rock of ages” fa bella mostra di sé all’inizio in una interpretazione country-gospel e con un canto corale che impreziosisce il tutto.
“Liza Jane” è di Vince Gill è possiede un andamento blues rurale con il dobro di Ickes che ricama puntuale e la voce di Sherman che ci tocca nel profondo prendendo le sembianze, in contemporanea, di John Fogerty e Ted Hawkins.
Lo stesso Fogerty che viene omaggiato in “Green River” con una rivisitazione scarna, ma potente ed intrisa di swamp sino al midollo.
C’è spazio anche per un brano di Jim Lauderdale, “Lonesome pines”, in cui il dobro di Ickes viene raddoppiato da un mandolino per una versione di matrice country-roots.
“I want Jesus” è gospel al 100% con la voce del nostro accompagnato dal coro delle Ingramettes che danno sfoggio di una potenza in grado, però, di emozionare.
Bella la resa del la composizione di Marvin Gaye “Don’t do it”, che acquista connotazione Americana grazie ad un’interpretazione più orientata verso la Band, credo per omaggiare il grande Levon Helm.
Bentornato Sherman, c’è sempre bisogno di dischi di questo tenore che ci riconciliano con la grande tradizione americana!!!


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