Il 19 giugno venne annunciata l’uscita di “Untitled (Black is)” da parte del collettivo Sault, una data né banale né casuale. Quel giorno si celebra il Juneteeth, cioè la ricorrenza che ricorda la liberazione degli schiavi afroamericani dalla schiavitù negli Stat Uniti. Tra i membri conosciuti ci sono il produttore Dean Josiah Cover, aka Inflo, e poco altro. Tutti i componenti della formazione hanno pubblicato dischi per l’etichetta Forever Living Originals e Inflo ha composto e prodotto artisti quali Michael Kiwanuka, The Kooks, Belle & Sebastian e Little Simz.
Nel maggio dello scorso anno un misterioso gruppo è emerso dal Regno Unito con un’affiliazione a Kid Sister e un affascinante album di debutto chiamato “5” . Lo hanno seguito con un intero altro album chiamato “7” a settembre. In queste versioni, i SAULT si sono avvicinati a suoni che vanno dalla Motown all’afrobeat psichedelico con una disposizione immediatamente riconoscibile, che ha colmato un tocco artistico sfuggente e un fascino pop diretto. A giugno, senza troppo preavviso, sono tornati con un altro LP molto coinvolgente.
Il nuovo album dei SAULT, “UNTITLED (Black Is)” , è uno sprawl di 20 tracce che non perde mai di vista il suo suono e la sua visione. ‘Vi presentiamo il nostro primo album senza titolo per segnare un momento storico in cui noi persone nere e di origine nera lottiamo per le nostre vite. RIP George Floyd e tutte le vittime della brutalità della polizia e del razzismo sistemico. Il cambiamento sta avvenendo… siamo concentrati’. Così il misterioso collettivo ha annunciato il nuovo progetto, anche questo avvolto nell’indefinitezza. Fra i nomi dei collaboratori spiccano Michael Kiwanuka e Cleo Sol. È un lavoro di forte matrice politica e di grande qualità e creatività.
Come implicito in titoli come “Don’t Shoot Guns Down” e “Sorry Ain’t Enough”, l’album è iper-rilevante per l’ondata di cambiamento sociale che ha investito il mondo. Queste sono canzoni minimali, sofisticate, discretamente orecchiabili che hanno molto da dire sulla lotta e la resilienza dei neri. “Non credo nel mito della donna nera arrabbiata”, intona una voce in profondità nella tracklist. “Credo nella magia di Blackness.” La cultura Black è al centro dei pensieri dei nostri, la musica è un blend di soul, gospel e funk che sa inglobare afrobeat e funk psichedelico. Gli arrangiamenti sono volutamente esausti, all’improvviso entrano in gioco assoli di chitarra, la ritmica si fa pulsante quando serve, la Motown e il neosoul sono punti di riferimento.
Un disco dotato di una stupefacente emotività, non urla la rabbia della popolazione di colore, ma la descrive a diversi livelli da un lato all’altro dell’Atlantico. Assolutamente da non perdere!!!
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