La rivista musicale britannica Uncut ha mostrato un grande apprezzamento nei confronti del nuovo disco di Samantha Crain, la cantautrice dell’Oklahoma, di origini pellerossa. Samantha non ha, fino ad oggi, avuto una vita tranquilla, ma piena di traumi, drammi e dolore, quasi fosse il testo di un pezzo blues. Sembra che “A small death” venga considerato dall’autrice una sorta di seconda parte della propria esistenza, avendo totalmente resettata la prima. A volte si vivono situazioni di emarginazione che non sono quelle di essere confinata in una riserva, paragone utilizzato visto le sue origini di nativa americana. Non è sufficiente neppure il talento per poter superare una forte crisi d’identità causata dall’impossibilità di poter suonare uno strumento dovuto ad un incidente che la ha costretta all’immobilità.
Siamo di fronte ad un disco che non è solo un insieme di canzoni, peraltro molto intense e profonde, ma un album che segna una rinascita artistica e spirituale. Musicalmente siamo dalle parti di un folk-rock che si esprime attraverso ballate spaziali e che geograficamente si pongono tra le pianure dell’Oklahoma e le magnifiche vallate del Laurel Canyon.
Il suono dei lavori precedenti risultava già profondo e sviluppato, ma in quest’occasione Crain ha sostenuto i suoi testi con arrangiamenti completamente arrotondati, quasi lussureggianti che rendono le canzoni veramente grandiose. La traccia principale dell’album, “An Echo”, trova Samantha rivisitare traumi recenti, sia personali ed interiori, che fisici, mentre la musica (punteggiata da steel guitar e fiati) si gonfia e la voce della nostra diventa più insistente, comincia a raggiungere un punto in cui si percepisce che è andata oltre sé stessa. Sembra una sinfonia cantata con il cuore in gola dall’emozione. Mentre molti dei brani dell’album presentano quel suono espansivo, altri hanno una qualità indie ben caratterizzata. “Pastime” è un folk mid-tempo che confina con il pop e fa rivedere la cantautrice che volge lo sguardo verso il passato e suoi errori giovanili. È quello che accade in tutta la raccolta, la sensazione di assistere ai ricordi del tempo che fu e il tentativo di proiettarsi nel futuro.
“When We Remain” si tuffa più profondamente nel suo ieri: è cantata in Choctaw, la lingua dei suoi antenati. E “Holding to the Edge of Night”, una delle più grandi canzoni dal punto di vista sonoro del disco, rappresenta la descrizione dei sogni che si infrangono nella realtà.
“A Small Death” è stato prodotto da Samantha Crain, progettato da Brine Webb, mixato da Eric Wofford e masterizzato da Jeff Lipton e Maria Rice. Tutte le canzoni sono state scritte da Crain, ad eccezione di “Garden Dove”, che è stata scritta da Samantha, Henry Baker e Ben Wigler. I musicisti dell’album includono Crain (chitarra acustica, tastiere e sintetizzatori, percussioni), Webb (basso, voce di sottofondo, effetti sonori, loop di nastro), Paddy Ryan (batteria), John Calvin Abney (pianoforte, chitarra acustica), Kyle Reid (pedal steel, programmazione MPC), David Leach (basso acustico), Dan Walker (fisarmonica), Trevor Galvin (sassofono, clarinetto), Garrison Brown (tromba) e Joanna GraceB.
Un’opera che narra di un’America ai margini, presentata in maniera reale e sentita. Da ascoltare assolutamente!!!
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