ROY MONTGOMERY – ‘Rhymes Of Chance’  cover albumCome anticipato dalla differenza tra “Island of Lost Souls” e “That Best Forgotten Work”, i primi due tomi del set di quattro volumi serializzato da Roy Montgomery nel 2021, “Rhymes of Chance” è uno stato di fusione tra quei due poli. Il primo era imperniato su pezzi di chitarra post-ambient di lunga durata, elogi per gli amati defunti, mentre il secondo era guidato da canzoni vocali e cover in miniatura. Il filo conduttore tra quei due era nella loro funzione di odi, una come musica originale per le persone che sono passate e la seconda come odi musicali più standard per idoli e coetanei ancora in vita. Questo lascia “Rhymes of Chance” tracciare un curioso percorso tra di loro, essendo la composizione longform della title track sul lato A che dura circa 20 minuti mentre il lato B è coperto da tre tagli più muscolosi che vanno dai 5 ai 9 minuti. Tutta questa musica è guidata dalla voce, ma allo stesso modo è anche tutta intrisa dello stesso tipo di lavoro di scultura post-ambient riverberato d’autore che ha segnato più il primo disco di questo set che il secondo. Questo dà un senso retroattivo a ciò che la musica vocale e le cover hanno cercato di realizzare, illuminando dove vengono sviluppate le sensibilità melodiche e armoniche per Montgomery prima di essere reincorporate nel suo materiale altrimenti anti-pop.

La sensibilità da cattedrale ritorna qui in forma forte, chitarre che suonano e brulicano come dipinti ad olio di angeli e incisioni di William Blake. C’è qualcosa di quasi elfico in questa musica, una giocosità sepolta nella sua sensibilità altrimenti sdolcinata. Se i lavori precedenti si situano più da vicino nella mancanza di parole e senza scopo del dolore, questo sembra che riemerga dalla distanza nella sua scia dove la perdita viene migliorata nei composti chimici più ampi della vita. Sono canzoni che accettano il decadimento e la natura graduale della perdita senza il melodramma e l’angoscia della giovinezza. Sono posizioni mature, segnate dall’accettazione quanto dal dolore. La citata influenza di Mark Hollis, la mente dei Talk Talk, ha molto senso qui, soprattutto considerando il suo ultimo disco in studio, molto più spettrale e apparentemente infestato dalla morte, pubblicato a suo nome. C’era un dolore sepolto nella bellezza di quei dischi dei Talk Talk degli ultimi giorni che solo il suo album solista sembrava scavare e giacere in superficie. Allo stesso modo, la pace e la tranquillità qui presenti tradiscono una perdita sublimata; le canzoni al primo ascolto sono bellissime ed evocative tappezzerie, ma col tempo diventano strappalacrime.

Nel complesso, “Rhymes of Chance” si erge meglio del suo immediato predecessore, sedendosi più comodamente a fianco di “Island of Lost Souls” come una voce forte nel corpus delle proprie opere. Non è solo il fatto che tutti questi sono originali; liberato dall’interpretazione, Roy rivela improvvisamente di nuovo la sua tremenda capacità di sensibilità, lasciando che l’accumulo di chitarre effettate stuzzichi spazi emotivi più piccoli e meno concreti, ma non per questo meno reali, di quando ha il compito di trasmettere un brano precedentemente composto. L’elemento persistente più intrigante del nuovo rilascio è semplicemente ciò che viene dopo. Il lavoro del volume finale servirà, come in molti casi come questo, a convalidare l’insieme multi-volume complessivo o a lasciarlo un beato meandro. Indipendentemente dal fatto che l’ultimo disco abbia senso o capovolga furiosamente questi dischi precedenti, tuttavia, “Rhymes of Chance” rimane ancora un lavoro compiuto di ambient contemporaneo e lavoro di chitarra New Age!!!


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