Era allora (e rimane ora) la più grande dichiarazione di intenti che una band abbia mai avuto: capeggiata dal polemista alla moda Chris Dean, la dichiarazione di intenti dei Motown punks, The Redskins, era semplicemente: ‘Cantare come le Supremes e camminare come i Clash’.
Da York, non da Detroit, il trio – Dean (chitarra), Nick King (batteria) e Martin Leon (basso) è venuto per la prima volta all’attenzione di Jon Langford dei Mekons in un concerto del 1981 contro il razzismo a Leeds. Conosciuto allora come No Swastikas, Langford ricorda che fecero una buona prima impressione; ‘Skinhead di sinistra, geniali!’.
I semi del movimento RAR sono nati dal riconoscimento che la musica poteva unire filamenti disparati di giovani, un potere tardivamente compreso anche dagli estremisti oppositori e spesso violenti dell’estrema destra.
Apertamente socialisti e con testi che articolavano quella che vedevano come una società chiusa in una lotta di classe fino alla morte, Dean & co. ben presto si trovarono a combattere non solo i teppisti di strada ma anche, ancora più prevedibilmente, la stessa industria musicale.
Alcune di quelle tensioni conflittuali sono state consapevolmente autoinflitte; spostandosi a sud nella capitale, Chris ha ottenuto un lavoro presso l’NME, scrivendo sotto lo pseudonimo di X. Moore. Dopo aver pubblicato il loro primo singolo “Lev Bronstein/The Peasant Army” tramite l’etichetta CNT di Langford, il trio ha poi firmato per la London Records, una parte dell’establishment che stavano simultaneamente giurando di abbattere. Il cantante ha giustificato la decisione con: ‘Ho sempre odiato le band ribelli che vogliono rimanere nell’underground… Sporcati le mani ed entra nelle classifiche’.
Il talento era quello di vincere sulle grida di ipocrisia, ma i successi sono rimasti frustrantemente sfuggenti. Pubblicato al culmine dello sciopero dei minatori alla fine del 1984, l’inno soul, “Keep On Keeping On”, è stato tanto buono quanto discreto in termini di successo commerciale, fermandosi appena fuori dalla Top 30. Frustrati dall’apatia dei vertici della label, i nostri acquistarono il ‘master’ di “Kick Over The Statues” e poi lo ha rilasciato in modo indipendente.
Con quella relazione ora gelida come un inverno siberiano, il debutto dei nostri, “Neither Washington nor Moscow” è stata una prova infuocata, tuttavia, di ciò di cui erano capaci. Questa sarebbe stata l’unica possibilità approfondita che il pubblico in ascolto avrebbe avuto di ascoltare se le loro alte ambizioni fossero state soddisfatte e per la loro pazienza sarebbero stati enormemente ricompensati.
Dalle prime note burbere, ma piene di sentimento dell’apertura “The Power Is Yours”, il percorso sul filo del rasoio necessariamente delicato di educare e intrattenere è stato consegnato con passione e sincerità. Se i messaggi fossero espliciti e volutamente mai lontani dalla superficie su brani intitolati “Go Get Organized!”, “It Can Be Done” e “(Burn It Up) Bring It Down”, sono stati abilmente avvolti da musica esuberante progettata per coinvolgere il pubblico invece di respingerlo. Uno dei brani più toccanti rimane “Hold On”, scritto come un’esortazione ai minatori in sciopero e alle comunità della classe operaia che in seguito sarebbero state devastate dal governo Thatcher. In seguito, in un’atmosfera di aspre recriminazioni e sconfitte, continuarono fino alla fine del 1986 ma, piuttosto che separarsi, sembravano invece dissolversi, con Dean che si ritirava completamente dalla musica, un addio totale che mantiene fino ad oggi.
Questa mastodontica ristampa di quattro CD mette la parola ‘fine’ in modo completo, insieme all’album contenente risme di lavori dal vivo, sessioni per il leggendario John Peel, remix e demo. Racconta una storia di buone intenzioni e dilemmi etici, di come una band abbia usato soul, punk, blues e jazz per drizzare le orecchie delle persone nel tentativo, condannato, di cambiare un sistema truccato contro di loro fin dall’inizio.
Il fatto che queste canzoni siano altrettanto rilevanti quarant’anni dopo dice tanto di noi, quanto loro!!!
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