R.E.M. – ‘Chronic Town’ cover albumR.E.M. ha trattato il proprio catalogo con alcune ristampe piuttosto sontuose negli ultimi anni e, a tale riguardo, l’uscita in CD che segna il 40° anniversario di “Chronic Town” non può eguagliare i pacchetti d’archivio come l’edizione ampliata del 25° anniversario di “Monster” del 2019. Ma l’uscita dell’EP di venti minuti dell’iconica band georgiana è comunque significativa in quanto non è mai stato disponibile come elemento autonomo in questa configurazione fino ad ora (è stato, tuttavia, aggiunto a diverse versioni della compilation di rarità della formazione “Dead Letter Office”).

Le note di copertina molto estese di Mitch Easter sull’inserto racchiuso nel set a doppia manica sono l’unico ‘extra’. E, a parte il design apribile, sulla cui copertina posteriore l’elenco dei brani non corrisponde all’ordine di riproduzione effettivo (forse per motivi di formattazione/estetica), la sua prosa fa ben poco per illuminare la vena e la fantasia dietro la registrazione. I primi paragrafi e l’ultimo alludono al mistero del processo creativo, ma in mezzo, il gioco del co-produttore/ingegnere serve solo a offuscare la propria collaborazione con il quartetto.

Detto questo, il titolo come ora pubblicato è un riflesso chiaro e accurato del movimento DIY/indie/alt del suo tempo. Potrebbe essere giusto dire che, su un taglio come “1.000.000”, i REM hanno rivelato di più nella semplicità essenziale della propria musica rispetto a qualsiasi altro dei suoi contemporanei. Ma, in retrospettiva, quel taglio, come “Stumble”, pone la questione di confronti troppo facili tra REM e Byrds; con il suo inimitabile jangle, Peter Buck non mirava a replicare il glorioso stile stratificato di quell’iconica band americana, ma solo a spingere ulteriormente la musicalità del quartetto di cui faceva parte.

Anche i contributi strumentali del bassista Mike Mills e del batterista Bill Berry. Come sezione ritmica, il loro modo di suonare discreto si concentra sulle canzoni stesse, non sulla loro partecipazione a “Carnival of Sorts (Box Cars)”. Di conseguenza, il loro modo di suonare è il più notevole al suo meno prominente, vale a dire, su brani a tempo medio e sommessi come “Gardening at Night:” lì la presenza del duo circonda efficacemente la voce difficile da decifrare di Michael Stipe.

Naturalmente, a questo punto, il frontman non aveva intenzione di enunciare in modo molto chiaro. In effetti, la sepoltura del suo canto nel mix ha funzionato a vantaggio dei testi di tracce come “Wolves, Lower”; l’immaginario delle parole è alternativamente (e ugualmente) avvincente e mistificante, almeno nella misura in cui il fraseggio criptico del cantante è del tutto decifrabile. (L’agile lavoro sulla tastiera di Buck può solo evidenziare la sua consegna in una certa misura).

La perfezione sonora non sembrava importare tanto quanto la sensazione nei primi lavori dei REM, quindi è un’ironia in armonia con il loro enigmatico personaggio collettivo che la padronanza di “Chronic Town” da parte di Greg Calbi presenti la sua musica con tale chiarezza e profondità. Ma questo non fa che rendere il titolo un altro ingresso essenziale nella discografia di questo consacrato gruppo, adatto a risiedere comodamente proprio accanto ai cofanetti di “Fables of The Reconstruction” e “Automatic For The People”.


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