PYE CORNER AUDIO – ‘Entangled Routes’ cover albumEntangled Routes” è l’album su Ghost Box di Martin Jenkins, in arte Pye Corner Audio, che chiude così la trilogia iniziata con “Stasis” nel 2016. Anche da queste parti navighiamo sulle cosmiche note di una retroguardia sintetica, la stessa che faceva ieri John Carpenter per i suoi film e che fa oggi anche senza quelli, con l’aggiunta di memorie EBM (“Earthwork”), techno e 16bit.

Chi conosce il lavoro di Jenkins sa esattamente cosa aspettarsi: ovvero un misto di sintetica ’80 applicata a un futuristico 4/4 altezza dancefloor sempre attribuibile a quegli anni. Una retromania dance detroitiana come europea, e anche per le colonne sonore (vedi anche Vangelis) di uno dei decenni più saccheggiati di sempre. Il moto (“Synaptic”) vs la pura visione (“Paleolith”), un’oscillazione che sembra polarizzare l’ascolto dall’inizio alla fine, con buoni risultati.

Potrebbe esserci una casa più appropriata per Martin di Ghost Box? Il suo ultimo lavoro caratterizza tutto ciò che l’etichetta rappresenta, costruendo immediatamente un tema forte con l’impareggiabile abilità di produzione di Jenkins e lasciando nella polvere la folla di altri feticisti del synth vintage. Non sorprende che Pye Corner Audio sia stato scelto per così tanto lavoro televisivo di recente, sembra che la sua musica sia unita ombelicalmente a una serie di ricordi catodici: immagini lampeggianti di “Doctor Who”, documentari di Channel 4 degli anni ’80, spettacoli horror a tarda notte.

Abbiamo ascoltato l’elettronica rétro-futura di Jenkins un sacco di volte, e a questo punto si sta solo godendo il viaggio; le atmosfere fantascientifiche squelchy di “Paleolith” sono un’introduzione perfetta a “Earthwork”, dove l’LP passa dallo squelching acido alla schiuma della pista da ballo spompata. E mentre l’ombra di Boards of Canada incombe su tanta musica synth retrò, Jenkins raggiunge le sue distinte conclusioni.

“Hive Mind” trasforma ritmi da discoteca induriti e arpeggi modulati in una jam dance a tema horror a due clic a sinistra del quadrante della TV. “Phantom Orchid” è un altro lento, che suona come Vangelis se gli fosse data l’opportunità di rifare la colonna sonora di “The Thing” di John Carpenter. Fondamentalmente, immagina Johnny Jewel, Alessandro Cortini, SURVIVE e Dean Hurley che vanno b2b alla ‘discoteca del purgatorio’ e ne avrete la misura.

C’è qualcosa di incredibilmente confortante nell’artista britannico. C’è un vero calore nel suo fetish per il synth analogico che evoca qualcosa tra la musica da film di fantascienza degli anni ’70 e il limite narcotico della pista da ballo. Tutto è strettamente controllato, i pezzi si sviluppano in sequenza mentre ogni elemento rivelato avviene nel momento esatto perfetto nel tempo. I bordi sono lisci, non c’è niente che ti culli da una fantasticheria ipnotica, niente è lasciato al caso. È difficile non ammirare questo tipo di controllo, questa attenzione ai dettagli. Non è il concetto che ti attira, sono le sequenze melodiche, la riverenza feticista per il timbro del sintetizzatore analogico e questi groove malinconici profondi e caldi!!!


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