Dopo la grande attesa e la curiosità di poter ascoltare – finalmente – un live ufficiale di Neil Young del 1973 ecco, tra i suoi innumerevoli fans scattare la discussione – l’ennesima perché il rocker canadese è uno che sa far parlare di sé – sulla qualità di questo live, oggettivamente molto bello ma che, per taluni, risulta distaccato da quell’album, “Tonight’s The Night”, genitore di queste esibizioni presso il Roxy di Los Angeles. Qualcuno dice che la drammaticità del disco in studio non viene riproposta nell’esibizione dal vivo. Senz’altro queste affermazione hanno la loro verità, resta di fatto che questo concerto è un signor concerto, un grandissimo concerto, uno di quelli che se l’avesse fatto chiunque altro sarebbe stato un capolavoro. Ma torniamo indietro nel tempo a quel drammatico (per Young) 1973 che arrivava dopo l’immenso successo di “Harvest”, il flop del doppio “Journey Through The Past” (che, comunque, conteneva alcune perle tutte da riscoprire) e, soprattutto, del live “Time Fades Away” allora massacrato per, poi diventare un vero album cult, e direi a ragione. Young, a differenza di parecchi suoi amici e colleghi, aveva capito che si era arrivati alla fine di un sogno, di un’utopia e che il mondo fantasticato e cantato era ben altra cosa. Disperazione, nichilismo e l’ombra assassina della droga che l’aveva colpito nel profondo portandosi via amici, su tutti il chitarrista dei Crazy Horse Danny Whitten, portò uno sconvolto Young a decidere di riunire quanto rimaneva della sua band in una sala prove ricavata nel retro di un garage di Hollywood (Studio Instrument Rentals) tra il 21 agosto e l’11 settembre dello stesso anno. La band, ribattezzata per l’occasione Santa Monica Flyers, comprendeva, oltre ai due Crazy Horse Ralph Molina (batteria) e Bill Talbot (basso) il chitarrista Nils Lofgren, Ben Keith alla steel guitar, più – in alcuni brani – Jack Nitzsche ovviamente al piano, Tim Drummond al basso, George Whitsell ai cori e Danny Whitten che canta la sua “Let’s Go Downtown” registrata live al Fillmore East di NYC nel 1970. Il risultato fu l’album più “ubriaco”, drogato, fumoso e disperato di Young, oggi uno tra i più amati di tutta la sua immensa discografia ma che allora non pochi problemi ebbe, tanto che la sua uscita venne posticipata alla primavera del 1975 preceduto dall’altro capolavoro assoluto “On The Beach”. Pochi giorni dopo le sessions di registrazione di Tonight’s Young – assieme a Talbot, Molina, Keith e Lofgren – si presentò ad inaugurare quello che diverrà il celebre Roxy di Los Angeles presentando con due set a sera l’intero album, fatta eccezione per il brano di Whitten e con l’aggiunta dell’allora sconosciuta “Walk On” che andrà ad aprire “On The Beach”. E questo nuovo capitolo della discografia younghiana è il fedele resoconto di quelle serate tra il 20 e 22 settembre quando i 5 amici salgono sul palco del piccolo locale indubbiamente meno ubriachi ma certamente non meno ispirati. Quello che finalmente abbiamo tra le nostre mani è un gran concerto con versioni meno spettrali se vogliamo ma che mette in luce il Neil Young vero, quello che ti stupisce, quello che di li a poco si trasformerà e che sa persino scherzare. Il Neil Young che quando ha una chitarra in mano la sa far cantare come pochi, e poco importa se la sua tecnica non è sopraffina. Il Neil Young che è più blues di tanti bluesmen messi assieme. Il Neil Young che amiamo e che continua, ancora oggi, a stupirci e a far parlare di sé. Una serie di esibizioni che anticiparono un tour europeo del quale, purtroppo, non ci sono tracce, salvo alcuni bootleg con qualità audio certamente non impeccabili. Quindi, personalmente, ringrazio Young per aver aperto i propri archivi e averci regalato questo piccolo gioiello, con la speranza sia solo il primo di una lunga serie perché i veri fan del Loner hanno sempre fame.

Antonio Boschi


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