La propaggine post-hardcore di Raime, Moin, intreccia chitarre filiformi e tagli di sampler grezzi alla batteria di Valentina Magaletti in un secondo album dal tacco primaverile per AD93 – Big Black, Slint, Fugazi, band dell’era Dischord.
“Paste” è il successore di “Moot!” del 2020, che è arrivato circa 8 anni dopo che Moin si è formato con un paio di uscite per Blackest Ever Black. Da allora il progetto è diventato il veicolo principale della feconda immaginazione di Joe Andrews e Tom Halstead, alimentata dalla batteria di Valentina Magaletti, tessitrice di ritmi impagabile, che in precedenza aveva dato un morso ribollente ai loro dischi nelle vesti di Raime. Come quel progetto tanto adorato, Moin si occupa di uno sviluppo della nostalgia adolescenziale, riducendo le influenze durature e i punti di riferimento degli anni ’80 e ’90 a una forma tesa e scultorea di energia cinetica che si muove perpendicolarmente alle tendenze contemporanee.
C’è un senso condiviso di introspezione minacciosa che lega il loro lavoro stretto come ‘guanti dritti fasciati’; entrambi i progetti sono definiti da una certa spavalderia e disciplina, ma con Moin contraddistinto da un impulso più sudato che evoca l’odore dei tappeti appiccicosi del retrobottega dei pub e delle magliette logore dei gruppi di altri tempi. Francamente, personalmente, odiavo quell’era di fine anni ’90, tra il post-hardcore e il proto-emo, quando l’altra principale opzione adolescenziale per una serata nelle piccole città era trascorrere tempo bevendo birre in locali improbabili (pur non essendo di Reading, sono di Parma, quindi ben distante culturalmente da tutto ciò, ma profondamente attirato dalla materia in questione) il modo in cui Andrews, Halstead e Magaletti riformulano il suo contesto con una patina di campioni obliqui e un movimento scarno e oscillante, lo rende più intrigante e degno del tuo tempo.
Le nove canzoni di “Paste” distillano freddamente le loro ispirazioni in bocconi prelibati nervosi tra il passo furtivo di “Foot Wrong” e la discordia vagante di “Sink”, bilanciando la malinconia adolescenziale con campioni più cresciuti in stile Leslie Winer in “Melon” e “Knuckle” , e una certa ‘tristesse’ nella melodia di “Yep Yep”, mentre “Forgetting is like Syrup” ricorda Chuck D dei Sonic Youth che spingeva “Kool Thing” nel suo tono nodoso, e “In a Tizzy” si avvicina di più ai lavori più recenti di Raime.
“Life Choices” è il chiaro momento clou, incollando le loro linee superiori di chitarra filiformi e poi sature a un passo pendulo e ad ago e campioni con una sensualità che ricorda la recente evocazione di Kreidler del post-punk degli anni ’80.
Ancora una volta, impeccabili!!!
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