MODERN STUDIES – ‘We Are There’  cover album“We Are There” è il quarto disco della band scozzese dedita al chamber folk. Segue a distanza di quasi due anni il precedente “The Weight Of The Sun” del 2020, disco che aveva confermato le cose buone già viste nel 2018, quando “Welcome Strangers” li aveva fatti conoscere anche dalle nostre parti.

Chiudi gli occhi quando inizia il nuovo album di Modern Studies e vieni immediatamente trasportato in un’altra dimensione attraverso la voce ultraterrena e i suoni scivolati di “Photograph”. È come se fossi scacciato in mare, alla deriva verso una terra sconosciuta e, molto probabilmente, ancora da scoprire. Quel luogo è davvero una loro creazione, solo quando sovrappongono le loro canzoni con svolazzi di prog-rock su una base folk, un po’ come facevano gruppi come i Midlake nei loro primi lavori. Dopo due dischi, i Modern Studies hanno prodotto il loro rilascio più forte di sempre, basandosi e consolidando il proprio suono per produrre un’opera a cavallo non solo di stili, ma anche di epoche. Questa è una raccolta che avrebbe potuto essere pubblicata in qualsiasi momento negli ultimi cinquant’anni.

Nonostante fossero uno degli acts più eleganti e interessanti degli ultimi anni, Modern Studies sembrava essere destinato, a un certo punto, a superare con attenzione la nicchia di ascoltatori devoti della loro etichetta, la Fire Records, ma non molto di più. Si spera che “We Are There” possa cambiare le cose, però, con gli arrangiamenti d’archi svettanti e suggestivi, le melodie più dirette, che non compromettono le radici proggy della formazione, e il loro gusto ben sviluppato per suite di vasta portata come “Sink Into”.

In canzoni come “Run For Cover”, e la meravigliosamente oscura e pulsante “She”, la combinazione di voci di Emily Scott e Rob St John ricorda le ballate di Nick Cave e ruba la scena con l’ipnotica interazione di melodie. Come il miele su un cardo, le voci si accarezzano, una levigando un bordo ruvido, quasi aspro dell’altra, mentre la musica vortica intorno a loro.

Il tocco in più di fuzz basso in “Back To The City” fa emergere una sensazione più minacciosa all’interno del brano e, insieme alle sezioni di archi che la intervallano, creano una sensazione di pericolo, come una sirena che chiama un marinaio smarrito. C’è sicuramente qualcosa di cinematografico nel modo in cui i nostri evocano immagini nella mente degli ascoltatori estasiati. La delicatezza della band, tuttavia, si sente meglio nell’accattivante “Heavy Water”.

Più che un impulso melodico, che era sempre presente nella loro proposta, le composizioni ora presentano una trama più ordinata, con i loro arrangiamenti da camera ricchi e in chiaroscuro, le loro progressioni solenni, a volte indulgendo in crescendo slow-folk (“Comfort Me” e nella ‘Low-esque’ “Wild Ocean”).

Il legame tra questo nuovo atteggiamento e la natura più bizzarra di Modern Studies trova l’apice in “Do You Wanna”, in cui sono in grado di espandersi magnificamente su un motivo relativamente semplice e jazz al pianoforte, come se fosse una canzone degli Steely Dan. “Two Swimmers” è un altro esempio della capacità del gruppo di alternare ritmi e linee melodiche in una composizione senza soluzione di continuità. Un altro sforzo impressionante da parte di quella che è davvero una piccola/grande band!!!


Category
Tags

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *