MICHAEL HEAD & THE RED ELASTIC BAND – ‘Dear Scott’ cover albumL’album di ritorno del 2017 “Adios Senor Pussycat” è stato, per sua stessa ammissione, un po’ deludente: le canzoni erano per lo più prive della solita magia, la voce di Mick suonava stanca, l’album suonava come se fosse stato registrato su un Nokia 3310. Ah ma Mick, come potremmo mai dubitare di te – “Dear Scott” ritrova il grande uomo al top della forma, in un disco che si colloca proprio accanto al suo miglior lavoro.

L’apertura “Kismet ” respinge qualsiasi riserva nei suoi secondi di apertura, una gioia rimbalzante e squillante, il suono caldo e chiaro e Mick che suona in una salute rude, emettendo battute apparentemente usa e getta come ‘Si sta facendo freddo, non vedo l’ora di abbracciare le tue spalle’ un pugno emotivo che solo qualcuno con la sua storia alle spalle può fare.

La prima metà del rilascio è un ritorno al periodo ‘pop’ di Shack, un insieme di glorioso guitar pop nordico che evoca le glorie di “Waterpistol” e “HMS Fable”. Il singolo inno “Broken Beauty” ha un ritornello che la maggior parte dei cantautori morirebbero per scriverlo, Michael che canta ’Le persone cercano di abbatterti – non vinceranno’ su ottoni e archi impennati… due tracce e sei già in estasi. Il folk “The Next Day” porta flauti e ba-ba-bas alla festa. E soprattutto c’è lo splendido “American Kid”, l’omaggio del nostro a un vecchio amico ossessionato da Hollywood che si è rivelato essere segretamente trans (‘Sei nato in un grattacielo a Kirby/Vai a lavorare come Eddie, vai a letto come Kathy Kirby’), e uno di quei momenti pop come “Comedy” e “Cup of Tea” che, in un universo alternativo molto più sensato, sarebbero tesori nazionali.

La seconda metà del disco si rifà all’ora più bella di Shack, l’impeccabile “Here’s Tom With the Weather”, tutto cosmico, nostalgia sognante, tempi in chiave mutevoli e arrangiamenti più jazz che quasi alludono alla mano non annunciata del fratello John, tanto mancato. Il bellissimo “Fluke” vede Head in un tour delle case delle stelle di Hollywood, percependo la malinconia della ‘città degli orpelli’ (‘I boulevard sono sogni infranti…’) in uno splendido valzer carico di archi. “The Grass” è uno spettrale folk del deserto che barcolla brevemente in un galoppo da ‘Settimo Sigillo’ (lo ‘Scott’ del titolo è Fitzgerald, ma in questo caso potrebbe essere ugualmente Walker) prima di una coda davvero sbalorditiva, Michael che canta lamentosamente ‘Ti porteranno lontano, molto lontano’ su un violoncello ossessionante. L’inno valzer “The Ten” lo vede sulla sua vecchia linea di autobus in città, lanciare frutta al mercato con il suo fratellino, mentre il malinconico pop di chitarra di “Pretty Child” ricorda i contributi di John a “Here’s Tom”, in particolare “Miles Away”.

La produzione dell’ex Coral, Bill Ryder-Jones, offre a queste magnifiche canzoni il trattamento lussureggiante che meritano, mentre la giovane band che lo accompagna suona come se fosse finalmente sulla sua lunghezza d’onda, e gli ‘Head-heads’ di lunga data saranno assolutamente estasiati nel sentire questa vera leggenda elargire musica come da tempo non faceva. “Here’s Tom” era il mio album pop degli anni 2000; sembra che Michael potrebbe aver appena composto quello degli anni ’20!!!


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