Se avete seguito le mie recensioni dovreste aver intuito che l’inizio degli Anni Ottanta fu il periodo cruciale per la mia formazione musicale. Dopo quattro anni di accumulo di tutto il rock storico, ho cominciato a seguire le uscite del periodo in cui stavo vivendo. Ho un ricordo bellissimo di un singolo uscito nel 1982 dal titolo ‘(There’s Always) Something On My Mind’, che rappresentava l’esordio dei Pale Fountains di Michael Head. Sono ormai trascorsi trentacinque anni da quell’esordio in cui Michael metteva in luce quelle che erano le sue influenze, da Arthur Lee dei Love a Nick Drake, e persino Burt Bacharach. Secondo la mia modesta opinione il nostro è da considerare una delle più importanti penne tra i cantautori britannici, ma anche una tra le più misconosciute. La sua carriera è stata costellata da diversi avvenimenti che lo hanno costretto ad una visibilità inferiore rispetto ai suoi meriti musicali. Basta ricordare la disavventura del 1991 quando, a causa di un incendio le registrazioni del suo secondo album con gli Shack ‘Waterpistol’ andarono distrutte. La beffa fu poi che l’unica copia superstite fu ritrovata nella macchina del produttore quando venne portata alla rottamazione. Le vicende personali di Head hanno fatto il resto, portando il nostro nelle grinfie di alcool ed eroina, per cui il suo volto è scavato da profonde rughe che lo mostrano più attempato di quanto sia veramente. La sua vita è una continua discesa e risalita, anche se rimane sempre nell’ambito di nicchia. Ma è un vero peccato, perché i suoi brani avrebbero dovuto conoscere una fama ben più ampia. È stato punto di riferimento per tutto il britpop più evoluto che parte dai La’s, passa per gli Stone Roses e i Mansun e molti altri protagonisti della seconda stagione d’oro del pop inglese. Sono trascorsi vent’anni dal suo capolavoro solista ‘The Magical World of the Strands’, un disco che nessuno si aspettava più da lui. È proprio da quell’album che prende spunto la sua nuova fatica discografica ‘Adiós Señor Pussycat’. Si tratta di tredici pezzi in cui le melodie sono ammalianti, gli arrangiamenti di fiati ed archi con l’uso di chitarre acustiche ed elettriche sottolineano la sua voce roca ed espressiva che suscita forti emozioni nell’ascoltatore. Non scende mai sotto l’eccellenza, l’iniziale ‘Picasso’ è una commistione tra la chitarra col tremolo e l’uso del violoncello su cui si dipana nel finale un assolo di tromba. ‘4 & 4 Still Makes 8’ è un blues che nel finale si apre alla psichedelia. ‘Queen of All Saints’ è sempre psichedelia con chitarre alla Velvet Underground. Su tutte la delicata ballata per piano e voce ‘Winter Turns To Spring’ in cui si incontrano le splendide melodie alla Brian Wilson con l’introspezione malinconica di Nick Drake.
È giunto il tempo di tributare a Michael Head tutti gli onori che merita.

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