Sicuramente non avrei mai pensato che i Melvins avrebbero dato alle stampe un album acustico, men che meno che sarebbe stato assemblato durante un periodo di pandemia che attanagliava le nostre esistenze da oltre un anno. Era impossibile da crederci, anche perché conoscendo la band attraverso dischi quali “Bullhead” (1991) e “Houdini” (1993), è quasi insondabile che gli inni grunge-metal che brillano su quei lavori possano essere reimmaginati con un suono acustico e lo-fi che si concentra sull’interazione vocale. Eppure i Melvins sono andati e l’hanno fatto.
Però, i nostri sono sempre stati desiderosi di rivisitare il loro canone, di immergersi in profondità nella discografia e vedere quali nuovi diamanti avrebbero potuto estrarre. E così via con il nuovo Frankenstein del trio, un’opera intitolata “Five Legged Dog”, una rivisitazione acustica e un notevole esordio della loro carriera lunga quasi 40 anni. È alternativamente imperfetto, affascinante e fantastico: il merito, almeno, dovrebbe essere dato a questi ragazzi anche solo per aver provato qualcosa di così ampolloso e potenzialmente sconvolgente. Non estraneo a correre rischi, Buzz Osborne e compagnia offrono ottimi risultati su determinati brani e un po’ di pancia altrove. Ma l’intera faccenda è vicina a una reinvenzione completa del loro suono come abbiamo visto nella potente corsa del gruppo fino ad oggi.
È una retrospettiva con trentasei tracce e una manciata di cover. Eppure, per molti versi, l’intero LP è un album di cover: i Melvins si autointerpretano. I vari brani ripercorrono la lunga storia della band, a partire da “Edgar The Elephant” e riportandoci rapidamente indietro nel tempo, prima fino a “Up The Dumper” della fine degli anni ’90 e poi più indietro fino a “Hung Bunny And Hooch”. Se avessi ascoltato questa versione di “Hooch” senza conoscere il contesto – la prima traccia del notevole disco della band “Houdini” – forse non mi sarei reso conto immediatamente che erano, in effetti, i Melvins a suonare loro stessi in un registro sonoro diverso. Lo stesso vale per le tracce successive che provengono da “Houdini”, come “Night Goat” e “Honey Bucket”.
Piuttosto che centrare la voce doom metal profonda e ringhiante di Buzz Osborne e le chitarre elettriche fangose, i nostri sperimentano dialoghi vocali e riff acustici. In alcuni brani come “Boris”, le sei corde acustiche stonate prendono il posto delle linee elettroniche ronzanti, registrando nuovamente le nostre reazioni sensoriali. L’album sembra allo stesso tempo indelebilmente legato, ma completamente slegato dall’opera della band, costringendo l’ascoltatore a rivalutare proprio quello che pensiamo di sapere su di loro. In definitiva, partendo da un po’ della musica più recente del gruppo prima di scendere nel passato, è quasi come se “Five Legged Dog” fosse un esperimento in uno strano viaggio sonoro nel tempo, chiedendo a tutti noi di considerare se sia possibile ricostruire il passato.
I fan della band dovrebbero essere sia ipnotizzati che disorientati, imparando a vederli sotto una nuova luce. E se “Five Legged Dog” è la vostra prima introduzione ai Melvins, l’album funzionerà al contrario: una volta che tornerete a dischi come “Bullhead”, “Houdini” e “Stoner Witch”, torneranno a essere strani. Il lavoro merita di essere preso in considerazione ed ascoltato con attenzione, e c’è una bellezza ipnotica in molte delle tracce, specialmente nella versione acustica di “Shevil”.
Lunga vita a questo trio per aver continuato a correre rischi così in profondità nella propria storia!!!
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