MAXIMO PARK: “Nature Always Win” cover album“Nature Always Wins” è una sorta di esame approfondito sulla nozione del sé, dell’identità in quanto band e di quella dell’umanità in generale. Il titolo dell’album fa riferimento al famoso dibattito Natura contro Cultura. L’argomento di discussione è se il cambiamento è in grado di avvenire sotto l’influenza del tempo, della prospettiva e dell’ambiente, o se siamo destinati ad essere vincolati dalla nostra genetica, chiedendoci ‘chi siamo, chi vogliamo essere e abbiamo controllo su tutto ciò?’

Perfezionando l’approccio del trio, la scrittura è iniziata la scorsa estate con Smith, Lloyd e English, alla ricerca di un quarto membro diverso – un produttore che sarebbe stato anche musicista. L’arrivo del produttore di Atlanta e vincitore di un Grammy Ben Allen (Animal Collective, Deerhunter) ha permesso alla band di suonare e creare in libertà. Questa sensazione fu presto messa in discussione dal lockdown, che impose al gruppo di sfruttare al massimo le tecnologie a disposizione per registrare in tempo reale da una parte all’altra del mondo – loro a Newcastle e Liverpool e Allen ad Atlanta.

Il disco segue a quattro anni di distanza “Risk to Exist” e a due il live in studio “As Long As We Keep Moving”. Ad anticipare “Nature Always Wins” sono stati pubblicati due singoli, la psichedelica “Child of The Flatlands” e “Baby, Sleep”. A proposito di quest’ultima, Smith la descrive come «uno sguardo leggero alla natura surreale della mancanza di sonno, e il modo in cui distorce la normalità in una società capitalistica».

Comunità fatiscente, blocchi di torri in fiamme, schermi telefonici manipolatori; dopo aver inveito contro gli orrori della politica dell’era Trump su “Risk To Exist” del 2017, nel 2020 Maximo Park si è invece rivolto ai post-effetti. ‘Ho sempre voluto riflettere il tempo in cui ogni disco viene realizzato, e non tornare a nulla’, dice il cantante Paul Smith a NME del loro nuovo e settimo album.

Con il tastierista Lukas Wooller che ha lasciato la band per iniziare una vita in famiglia in Australia e il bassista Archis Tiku che si è ritirato nel 2017, la band ha ritardato il lavoro sull’album fino a quando non hanno potuto riconfigurarsi come un tre pezzi (Smith, il chitarrista Duncan Lloyd e il batterista Tom English) senza compromettere il pugno poetico che li ha visti raggiungere la Top 20 con ogni album dal debutto del 2005 ‘A Certain Trigger’.

Qual’era l’obiettivo da raggiungere in questo nuovo lavoro? Non un disco politico, ma piuttosto uno che facesse ballare, ma allo stesso tempo pensare a ciò che si sta ballando, che è più una sorta di ideale post-punk o punk-funk. In questo periodo molti membri della formazione sono diventati genitori, una situazione da non ignorare, ma non centrale nello svolgimento del progetto. Si tratta chiaramente di essere un genitore, canzoni come “I Don’t Know What I’m Doing”, per esempio, in molti modi questi sono sentimenti universali di dubbio su sé stessi che le persone hanno. Hanno cercato di renderlo il più personale e specifico possibile senza che perdesse quel fascino universale, altrimenti sarebbe sembrato troppo interiore o ossessionato dalla specifica individualità. Il risultante primo singolo “Baby, Sleep” (descritto come ‘lassù con il meglio che hanno fatto’ da Shaun Keaveny durante il suo debutto su BBC 6 Music) è un mondo di energia pop, guidato dall’inimitabile chitarra di Duncan Lloyd e dagli abili giri di frasi che possono provenire solo da Paul Smith, un maestoso e psichedelico slow-burner che ha gettato uno sguardo infelice verso il significato del luogo e il suo impatto sull’identità – il tutto impostato su un’opera d’arte visiva del designer sperimentale e video artista (e recente collaboratore di Daniel Avery) Greg Hodgson.

Non sono uno dei tanti gruppi spazzatura indie, come in passato sono stati definiti, possono piacere oppure no, ma c’è profondità nella loro arte sia musicalmente che a livello di testi!!!


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