Mi sono spesso chiesto perché in Italia tutta la musica di matrice tradizionale statunitense, quindi folk e country, non sia mai piaciuta a parte qualche rara eccezione.
La riflessione è lecita nel momento in cui vado a recensire il nuovo album di Mary Gauthier “Rifles & rosary beds”. Il disco esce su Appaloosa records in esclusiva per l’Italia.
La nostra è una grande cantautrice con una storia di vita alle spalle ricca di sofferenze e dipendenze.
Fu abbandonata dalla madre in fasce ed adottata da una coppia di origine italiana. Scappa di casa quando era adolescente e trascorre una vita di stenti tra abuso di alcol e droghe alla ricerca della propria identità.
Riesce ad ottenere un diploma in arte culinaria e successivamente inaugura un ristorante cajun a Boston nel quale lavorerà per due lustri, fino a quando non fu arrestata, nel 1990, per guida in stato di ebbrezza. È l’episodio che segna un cambio definitivo nella sua vita. Cessa di bere divenendo astemia e comincia a scrivere canzoni.
In pochi anni raggiunge una capacità di scrittura e doti interpretative che la collocano nel gotha dei singer-songwriters in ambito di suono Americana.
Ad oggi il suo capolavoro è “The foundling” uscito nel 2010, prodotto da Michael Timmins dei Cowboy Junkies, in cui Mary affronta il problema delle proprie origini in maniera così intensa e profonda da emozionare chiunque la ascolti.
Il nuovo album si avvicina a quella qualità, anche se le tematiche affrontate non sono personali, ma investono il quotidiano.
I brani sono stati scritti con l’aiuto di alcuni veterani di guerra ed i loro famigliari. Raccontano storie di drammi, soprusi, sofferenze ed emarginazione.
Le liriche sono complesse, ma la musica costruita attorno riesce a renderle convincenti grazie alla semplicità delle note.
Tra i musicisti coinvolti ci sono Michele Gazich (violino), Will Kimbrough (voce, chitarra e mandolino) e Danny Mitchell (voce, piano e fiati).
L’album si apre con “Soldiering on”, un brano drammatico con il violino in evidenza e le note cadenzate che crescono ad ogni ascolto.
“Got your six” è una canzone dialettica che si apre piano piano nel momento in cui entra la melodia.
“The War after the war” è una composizione sospesa tra line percussive e melodiche che emergono con lentezza.
“Still on the ride” viene introdotta da una armonica e possiede un ritmo squadrato con influenze country e i musicisti coinvolti danno un che di roots che la rende estremamente attraente.
Vorrei citare “It’s her love” un brano di grande forza espressiva e particolarmente struggente. Si apre per voce e chitarra poi, lentamente, entrano in gioco gli altri strumenti. Gran pezzo!!!
In conclusione si tratta di un’opera che ci riporta la miglior Mary Gauthier, quella che riesce a coniugare testi di grande forza ed impegno con una musica debitrice della grande tradizione Americana.

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