Eccoci a parlare, per la prima volta, di un’autrice che sa attingere da un pozzo senza fine materiale di qualità e del suo nuovo album, “The balladeer”, il suo undicesimo disco e terzo in collaborazione con il produttore Dave Cobb. Lori è una songwriter che risiede in Massachusetts, che già due anni fa aveva dato alle stampe un disco di gran qualità, nominato album dell’anno agli American Music Awards. La nostra si destreggia con stile e competenza tra le radici folk e country, mentre le astute osservazioni personali e la narrazione intima sono stati a lungo i tratti distintivi del suo modo di scrivere.
La nativa di Boston riesce in qualche modo, in questa occasione, a rimuovere strati precedentemente non esaminati su questo set profondamente personale, che osserva la realtà come madre di cinque figli e si preoccupa del loro futuro a causa di mancanza di prospettive nel mondo in cui viviamo. Il suo rimane un pensiero ottimista perché certa di aver trasmesso alla propria prole i valori fondamentali per andare incontro alla vita nel modo più preparato possibile. Da quando la sua carriera, come una delle principali cantautrici di Nashville, è decollata nella seconda metà degli anni 2000, la McKenna è stata attenta a coltivare la propria musa e mantenere una propria produzione prolifica mentre si affida alle royalties per pagare i conti grazie alla sua attività di autrice di successi per Tim McGraw, Faith Hill ed altri ancora. Le sarebbe bastato questo per vivere nell’agio, ma non le era sufficiente, voleva anche avere una carriera in proprio, affrontare tour, riuscire a comporre canzoni dalle caratteristiche personali sfornando lavori dai toni folk, molto raffinati, calda musica popolare che documenta le gioie e le delusioni dell’esistenza con robusta umiltà e grazia.
In “The balladeer” , sono le riflessioni e la realtà della mezza età ad essere oggetto di maggiore attenzione. La raccolta è composta di dieci brani di cui tre firmati in compagnia di Hillary Lindsay e Liz Rose, appartenenti al gruppo Love Junkies. In studio, oltre a Cobb, troviamo Brian Allen al basso, Chris Powell alla batteria e Philip Towns alle tastiere che concorrono alla realizzazione di un’opera di rara bellezza.
La title track suona come un’autobiografia del tenero ‘trovatore’ del New England che “si mette in ginocchio con ogni verso così delicato”, infestando i bar fumosi del circuito folk per l’eternità. Il brano d’apertura, “This town is a woman”, è una ballata che conta del contributo vocale di Karen Fairchild e Kimberly Schlapman dei Little Big Town. “When you’re my age” è pianistica e sembra provenire dal cuore della sua autrice, una lettera d’amore per i figli che non smetterà mai di seguire come madre responsabile. Splendidi gli interventi al violoncello di Brian Allen. La nostra ha il talento di trasformare la saggezza femminile in giri di parole intelligenti e toccanti, come accade in “Marie”, toccante ballata che ricorda la figura della sorella maggiore e del suo importante ruolo nel momento in cui venne a mancare la madre. Ancora di più, i ruoli complicati, ma gratificanti di moglie e madre informano molte di queste canzoni che si svolgono in peana agrodolci come “Good Fight” e “Til You’re Grown”. Come per i suoi due dischi precedenti, la produzione di Cobb è calda e comprensiva con arrangiamenti abbastanza robusti da aggiungere un po’ di peso senza intralciare un’altra collezione affidabile e forte.
Sono questi i dischi che ci riconciliano con noi stessi, quelli da assaporare nota dopo nota all’interno della nostra calda ed accogliente abitazione assieme ai nostri cari!!!
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