LEGENDARY SHACK SHAKERS – ‘Cockadoodledeux’ cover albumFacendo esplicito riferimento, nel titolo, al loro album del 2002 “Cockadoodledon’t”, i Legendary Shack Shakers celebrano una carriera ultraventennale all’insegna della commistione di musica tradizionale e moderna con un disco interamente dedicato al genere country & western, inteso in senso ampio tanto da comprendere varianti ‘spaghetti’ western e bluegrass, Western swing e rockabilly, tex-mex e Americana. Nomi di spicco della scena country/hillbilly come Stanley Walker (ex chitarrista della Sun Records a fianco di ‘Rockin’ Ray Smith e bandleader alla Grand Ole Opry di Nashville), Jack Martin (suonatore di dobro per Lester Flatt), il violinista cajun ‘Hillbilly’ Bob Prather e Chris Scruggs si affiancano al gruppo e a un punk rocker inveterato come Jello Biafra dei Dead Kennedys in una grande festa all’insegna degli strumenti a corda che per il gruppo originario del Kentucky sembra aprire una nuova fase ricca di promesse.

Il concetto della band è cambiato nel corso degli anni dalle sue origini punk/blues/rockabilly a bluegrass contorto (J. D. Wilkes è esperto di armonica e banjo) e bayou-rock deformato, ma autentico. Però l’attenzione è rimasta sull’imprevedibile propensione di Wilkes a tuffarsi a capofitto in qualunque suono stia spingendo, e ad emergere gorgogliando, aggrappandosi freneticamente e con fervore a frammenti sbrindellati delle sue tradizioni meridionali.

Inutile dire che questa collisione tra Southern Culture on The Kids, Dwight Yoakam, il reverendo Horton Heat e The Cramps non è chiaramente per tutti. Ma quando la combinazione fa clic, è una festa che dovrebbe essere frequentata da tutti.

Per questa edizione di Shack Shakers, Wilkes passa allo swing country ad alto numero di ottani, schiacciando il soufflé texano del marchio Commander Cody e Asleep at the Wheel con il bonario honky-tonk (una cover del successo di Harlan Howard per John Conlee “I Don’t Remember Loving You” è un punto culminante). C’è abbastanza twang cablato per esplodere fuori dai blocchi con una versione incrinata e squilibrata della strumentale “Rawhide”. “Yee-haw” urlerai, senza curarti di chi sta guardando, mentre la chitarra riverberata scricchiola e j. D. grida ‘Rolling, Rolling, Rolling… rawhide’ in una folle corsa verso il finale con schiocco di fruste e muggiti di vacche. Come può qualcuno non amare questo?

E si sta solo riscaldando.

È un hoedown sbuffante mentre Wilkes frusta attraverso ‘hot licks’ country con la passione di un predicatore del backcountry, mentre elementi di blues, jazz, musica per orchestra d’archi e gli effetti del bere pesante si mescolano nelle successive 11 tracce, tutte fatte e spolverate in appena più di mezz’ora. Niente assoli, niente passaggi strumentali estesi, solo divertente, vivace C&W puro che potresti aver sentito alla radio negli anni ’60, cantato dal nostro con la lingua spesso piantata saldamente nella sua guancia.

Titoli di canzoni come “Triple Timer” (‘sei un vagabondo risoluto, doppio gioco, triplo tempismo’), “Tickle Your Innerds” e lo spirito cowpunk di “Punk Rock Retirement Plan” in cui il protagonista punk decide di tornare alle sue radici country (‘Beh, è ​​Johnny Cash per Johnny Rotten, Johnny Horton per Johnny Ramone’) tiene l’umorismo in allerta mentre il cantante solca i suoi testi come un bestiame in fuga. Il frontman ha radunato alcuni ex membri del suo outfit in continua evoluzione per portare le cose al punto di partenza con autentici, persino virtuosistici, suonando principalmente di persona in uno studio nella sua città natale di Paducah, nel Kentucky.

Gli ultimi 25 anni hanno visto j. D. Wilkes fare ping-pong da una formazione di Shake Shakers all’altra, cambiando stile più velocemente delle sue mutande, ma rimanendo ostinatamente fedele all’amore, anche se un po’ distorto, della visione rustica americana delle radici. È ancora lì, pronto a portare la propria visione piena di caffeina e l’energia illimitata nel prossimo quarto di secolo.

Non è mai troppo tardi per unirsi a lui!!!


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