KOKOROKO – ‘Could We Be More’ cover album“Could We Be More” è l’atteso album di debutto del collettivo londinese Kokoroko, uscito il 5 agosto via Brownswood Records. La band, scoperta proprio da Gilles Peterson della Brownswood, si era fatta conoscere nel 2018 con il brano “Abusey Junction” all’interno del disco collettivo “We out Here” e poi nell’EP “Kokoroko” (2019) insieme ad altri tre brani. A esso hanno fatto seguito un altro paio di singoli.

Nel Regno Unito si assiste ad una crescente scena di ‘conscioussness’ jazzistica formata in gran parte da musicisti di origine caraibica e africana, che danno vita ad una proposta fresca e vitale.

Diventare un nome familiare prima ancora di aver pubblicato un disco di debutto non è un’impresa da poco, ma in virtù di coltivare una spaventosa reputazione dal vivo e di essere celebrati come gruppo poster per la ‘giovane scena jazz britannica’ acclamata a livello internazionale, i Kokoroko hanno fatto proprio questo. Le aspettative erano quindi alte per questa formazione di avventurieri amanti dell’afrobeat e della highlife e della loro prima linea femminile che suonava i fiati e armonizzava la voce.

Questa è una raccolta di brani matura, abilmente sequenziata, condita qua e là da brevi passaggi destinati a dare una pausa, esaminare temi e portare l’ascoltatore dentro e fuori uno spazio comune. Ne fuoriesce una musica che pulsa sul ritmo di una batteria funky che si perde dentro percussioni che danno sostegno ad una superlativa sezione fiati che si alterna ad inserti chitarristici che riporta alla mente la ‘ju-ju music’.

L’opener “Tojo”, con la sua scia di fiati dorati, sembra il sole che sorge su un campo di battaglia, mentre la sbuffante e agrodolce “Ewa Inu” trova la chitarra squillante di Adenaike-Johnson che ricorda quella del leader della band ghanese Ebo Taylor; come Fela Kuti, una grande influenza dei nostri.

“Age of Ascent” è una fetta languida e senza fretta di un viaggio musicale; il mistico “Dide O”, che scuote i baccelli dei semi, ricorda il lavoro di richiamo dello spirito di Lionel Loueke. I momenti salienti abbondano: la voce solista di Richie Seivwright non è mai stata così dolce come in “We Give Thanks” funky e allegra. “War Dance” e “Something Going On” sono rivolte euforiche, catartiche e divertenti.

“Could We Be More” è una commistione irresistibile di suoni ‘neri’, quelli che riescono a tenere uniti impegno politico-sociale alla danza e al ritmo. Avvolgenti, accattivanti e potenti!!!


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