KING HANNAH – ‘I’m Not Sorry I Was Just Being Me’ cover albumDopo un apprezzato debutto con l’EP “Tell Me Your Mind And I’ll Tell You Mine” – che aveva destato l’attenzione di Sharon Van Etten – i promettenti King Hannah si sono preparati a lungo al debutto ufficiale, sempre via City Slang.

Il disco s’intitola “I’m Not Sorry, I was Just Being Me” ed è uscito il 25 febbraio, anticipato dai singoli “All Being Fine” e “A Well-Made Woman”, come facce della medesima medaglia, un biglietto da visita per il fosco mondo dipinto da Hannah Merrick e Craig Whittle che pare ricongiungere umori e visioni con la Pj Harvey di “To Bring You My Love” e le Lost Highway di lynchiana memoria, prendendo in prestito il noir dal trip hop e le visioni dal desert rock. Non stupisce, pertanto, che il duo abbia in repertorio la cover di “State Trooper” di Bruce Springsteen, una delle tracce più spettrali del Boss. E sì, queste canzoni sarebbero perfette per la colonna sonora di “The End of the F***ing World”.

Con il suo stile vocale catatonico Merrick imprime alle tracce il proprio sguardo sul mondo: “Go-Kart Kid (HELL NO!)” si ispira per esempio alla sua infanzia, passata a giocare all’aperto assieme alle sue sorelle, mentre la sopracitata “A Well-Made Woman” descrive la sua esperienza sociale come donna.

Con questo debutto sorprendente la coppia di Liverpool si lancia in afosi deserti di polvere, un’avventura narcotica e seducente di psych-blues stridulo alla Mazzy Star, trip-hop stile Portishead e folk per i giorni di pioggia.

Pochi album d’esordio sono così sicuri come questo del duo indie britannico. In effetti, Hannah Merrick e il chitarrista Craig Whittle – il duo al centro della dinamica creativa del gruppo– bruciano in modo molto efficace la loro identità sonora in queste 12 tracce. La voce fumante di Merrick – che ricorda artisti del calibro di Fiona Apple e PJ Harvey – si fondono intuitivamente con la languida chitarra di Whittle.

L’apertura, “A Well-Made Woman” è un inquietante bruciatore lento, che evoca immagini di fuorilegge di frontiera. Brani come “All Being Fine” e “Ant Crawling On An Apple Stork” sono similmente inquietanti. Questa è una fumosa americana del miglior tipo. Altrove, “The Moods I Get In”, “Foolius Caesar” e “Go-Kart Kid (HELL NO!)” hanno, come indicato dai titoli delle tracce, un aspetto un po’ più leggero, con l’arguzia del gruppo in primo piano. Ma hanno qualcosa di speciale in loro.

“Bib Big Baby” assume forme minacciose attraverso un aspetto melodico che richiama il ‘southern gothic’. “The Moods I Get In” si dipana lungo otto lentissimi minuti di devozione sia per Neil Young che per i Red House Painters. Sanno farsi anche più sperimentali, accade in “Foolius Caesar” in cui, sotto un magma di riverberi e tensione chitarristica, si avverte la voce di Hannah flebile e angosciata, quasi a ricordarci quella di Beth Gibbons.

L’anello di congiunzione tra lo slowcore americano di inizi novanta e il trip-hop cinematico che ci consegna atmosfere romantiche e disturbate. David Lynch approva senza riserve!!!


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