Attendevo con ansia un nuovo disco di Josh T. Pearson dopo che il precedente, uscito sette anni fa, aveva folgorato tanti ascoltatori, tra cui il sottoscritto.
Josh è un musicista texano che esordì nel mondo musicale nel 1996 con i Lift To Experience coi quali realizzò un unico album doppio nel 2001 dal titolo profetico “The Texas Jerusalem crossroads” pubblicato dalla Bella Union.
La musica del trio, che possiamo definire southern gothic, si è sempre meglio espressa dal vivo e purtroppo è durata troppo poco per poter germogliare e darci quei piaceri che il primo ed unico album aveva saputo donarci.
Dopo la disgregazione della formazione Pearson si ritirò a Limestone County, Texas diventando un tuttofare pur continuando a scrivere canzoni e ad esibirsi.
Lasciò il Lone Star State per l’Europa, visse a Berlino e Parigi, fece da supporto a band quali i Dirty Three e i 65daysofstatic e partecipò alla manifestazione “All Tomorrow’s Parties” in più occasioni tra cui quelle curate dai Dirty Three (2007) e My Bloody Valentine (2009).
La sua carriera solista procedeva a rilento fino a quando, nel novembre del 2010, la Mute annunciò che il nostro aveva firmato con loro e nel marzo del 2011 usci “The last of the country gentlemen”.
Un fulmine a ciel sereno, un autentico capolavoro con una scrittura originale, ipnotica e ricca di pathos come da tempo non si ascoltava. Ancora un lungo periodo di tempo senza avere sue notizie fino ad oggi in cui si ripresenta a noi con “The straight hits” di nuovo firmato Mute Records.
Josh appare un’altra persona, ripulito, rasato ed anche la sua musica sembra un’altra cosa, una storia diversa.
Sostiene che ha pensato di agire in modo differente, non più brani lunghi, ma canzoni composte per colpire immediatamente, delle hits come suggerisce il titolo.
Affinché i pezzi potessero essere presi in considerazione dovevano sottostare a cinque pilastri:

  • Le canzoni devono avere un verso, un ritornello ed un bridge
  • Il testo deve essere lungo non più di 16 righe
  • Devono avere il termine “straight” nel titolo
  • Lo stesso non deve contenere più di tre parole
  • La canzone ha la priorità è lei che comanda che conduce i giochi

L’inizio del lavoro è sconfortante, i primi tre pezzi sono brani normali, scrittura debole e arrangiamenti sopra le righe, esecuzioni confuse e fastidiose.
“Straight to the top!” sembra un noise-pop-punk senza capo nè coda, “Straight at me” è, se possibile, ancora peggio, si fatica a rintracciare un filo conduttore e “Give it to me straight” è un brano pub rock per ubriachi.
Fortunatamente le cose migliorano dalla quarta traccia in poi. Grande la canzone “Love straight to hell” una sorta di post-rock di derivazione Lift to Experience.
Carezzevoli le tre ballate (“The dire straight of love”, “Straight down again” e “Whiskey straight love”) dall’andamento stralunato ed impalpabile.
Altro brano di caratura superiore “A love song (set me straight)” con andamento mid-tempo, sussurrato e una melodia di stampo wave.
Viste le premesse poteva andare peggio, ma la magia del passato è scomparsa e, forse, non farà mai più ritorno.


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