JOHN SCOFIELD – ‘Solo’ cover albumJohn Scofield è andato in molte direzioni diverse nel corso della sua leggendaria carriera di oltre cinquant’anni, ma una strada che non ha mai preso è quella che porta alla registrazione di un vero album di chitarra solista. Ma la sua seconda uscita per la ECM Records è l’occasione ottimale per un simile viaggio, se non altro per il suo debutto nel 2020 per l’etichetta, “Swallow Tales”, che potrebbe essere rimandato un po’ troppo (anche se forse comprensibilmente) al bassista Steve Swallow e al batterista Bill Stewart, due dei suoi più longevi collaboratori. Questo LP giustamente omonimo, tuttavia, è il luogo in cui Sco compensa quel ruolo discutibilmente sottomesso, esercitando vigorosamente la sua tecnica ben affinata come mezzo per dimostrare una sana riverenza per il materiale che ha scelto con tanta cura.

La dozzina di selezioni qui presenti coprono la gamma dell’eclettismo che Scofield ha mostrato nel condurre i propri progetti e nel collaborare con altri nel corso degli anni. Interpretando brani di Buddy Holly (“Not Fade Away”), Keith Jarrett (“Coral”) e Hank Williams (“You Win Again”), John dimostra la non comune destrezza con cui riesce a evocare, a sua volta, sensazioni di baldoria, dignità e umiltà. Sorprendentemente anche, queste cover non solo rimangono un pezzo l’una con l’altra, ma anche con le composizioni del chitarrista come “Trance Du Hour” e “Elder Dance”; con brani di durata variabile da meno di tre minuti a quasi sei, il nostro non commette mai l’errore di intaccare i suoi punti.

Al contrario, colpisce con la massima disinvoltura le dolci armoniche alla chiusura di “Junco Partner”, poi lascia risuonare le note nell’aria. Non sorprende che quel tocco unico e abile sulla tastiera – nel punto molto dolce dello staccato blues e della fluidità del jazz – venga alla ribalta anche nei suoi originali. Ha sviluppato il proprio stile personale tanto lavorando con stimati artisti del calibro di Miles Davis, Billy Cobham e Phil Lesh quanto guidando i suoi gruppi come la Uberjam Band, quindi non è un caso che il suo mezzo strumentale di espressione delle emozioni sia onesto e schietto, anche senza parole a parte i titoli delle canzoni, ad esempio “Honest I Do”.

Poi ci sono brani familiari come “Danny Boy”, uno standard in buona fede che suona assolutamente fresco, reso grazie al flessibile lavoro delle sue dita. Mentre picchietta e strimpella in modo così caratteristico, emerge una quiete che colloca questo disco esattamente nell’opera ECM che il produttore Manfred Eicher ha stabilito oltre mezzo secolo fa, un’atmosfera che prevale anche in quei momenti in cui il venerabile chitarrista utilizza il loop: registrazione e mastering rispettivamente di Tyler Semiarid e Christoph Stickel, rivela i delicati strati sonori che creano l’illusione dell’accompagnamento dell’uomo.

Sebbene questo approccio sembri una progressione naturale nell’evoluzione di John come strumentista, compositore e artista discografico, la facilità con cui l’uomo suona non si placa mai. Non cerca più la sua musica, ma la lascia venire a lui, quindi l’aria ingannevolmente casual che informa brani come “Honest I Do”, rispecchiando l’invitante tranquillità della grafica della copertina dell’album, è esattamente la qualità che rende questo record così accessibile!!!


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