Joe Lovano e Dave Douglas sono due dei migliori strumentisti sulla scena del jazz odierno, rispettivamente sax tenore e tromba. Le età sono distanti, quasi settantenne il primo, cinquantacinquenne il secondo.
Dei due è sempre stato Douglas ad avere interessi più ampi in musica e nel cercare ausilio anche nell’elettronica. Dave è anche un produttore e imprenditore discografico, la Greenleaf Music è di sua proprietà. Ha suonato con John Zorn, nei Masada, con Marc Ribot ed ha sconfinato anche nella musica pop.
Lovano ha iniziato come sax alto per poi addentrarsi nello studio del tenore e come influenze principali cita John Coltrane,Dizzy Gillespie e Sonny Stitt. Nel corso degli anni ha lavorato con Jack McDuff, l’orchestra di Woody Herman e soprattutto nel quartetto con John Scofield e nel trio guidato da Paul Motian assieme a Bill Frisell.
Entrambi hanno sempre dimostrato un certo interesse verso lavori che fossero omaggi ad altri musicisti, più o meno noti.
Joe si è impegnato a tributare Coltrane, Frank Sinatra, Caruso, Gunther Schuller e persino un’epoca quella del be-bop. Douglas ha reso gli onori a Mary Lou Williams, Booker Little e Joni Mitchell.
Il nuovo album vuole rendere i giusti meriti ad un grandissimo: Wayne Shorter, il più prolifico autore del quintetto davisiano di metà anni sessanta.
La formazione che accompagna i due è composta dal pianista Lawrence Fields, dalla contrabbassista Linda May Han Oh e dal quel fuoriclasse della batteria che risponde al nome di Joey Baron.
L’album è composto da undici brani, che rappresentano tante piccole istantanee del mondo di cui i nostri due amici fanno parte e che possiedono quelle caratteristiche capaci di rapirci per consegnarci ad altre dimensioni spazio-temporali.
“Dream State” è una composizione del trombettista e da idea delle capacità contrappuntistiche dei nostri. Lovano ci dona una “Full sun” capace di personalizzare ed interiorizzare le visioni di Shorter.
Ci vengono proposte anche due riletture del songbook shorteriano, “Free fi fo fum” e “Juju”. La prima vive una trasformazione in chiaroscuro, mentre la seconda è come scomposta e riarrangiata con una grande capacità armonica grazie all’eccezionale lavoro della sezione ritmica e del piano in particolare.
L’espressione lirica ai suoi massimi livelli caratterizza “Ups and Downs “ di Douglas e la lovaniana “Full moon”. Il tenorista ci dona altri due contributi “The corner tavern”e “High noon”(suonata al soprano) che mettono in mostra umori latini con uno swing particolarmente vibrante che danno una nuova ed inedita immagine, quasi colemaniana.
I rimanenti pezzi di Douglas, “Scandal”, “Mission creep” e la conclusiva “Libra” sembrano quasi introdurci nel mondo del west-coast jazz ovviamente in modo evoluto e non calligrafico.
Si tratterà anche di mainstream, ma la capacità compositiva, la padronanza degli strumenti, l’attenzione al dettaglio riescono a presentarci un disco in grado di non far mai calare la tensione nell’ascoltatore.


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