Ho apprezzato quest’uomo fin dal suo esordio intorno alla seconda metà degli anni ottanta. Se i suoi primi due lavori mi erano piaciuti fu solo con “Shuffletown” del 1990 che me ne innamorai definitivamente e divenne uno di quei musicisti da seguire ad ogni uscita.
Ho letto recentemente un’intervista in cui l’intervistatore fornisce un dettaglio importante per comprendere chi sia Joe Henry. Si trovavano a casa di una terza persona che possedeva un nutrita serie di album di songwriters, il buon Joe li passò in rassegna ad uno ad uno fin che non estrasse una vecchia compilation di Bob Dylan e volle far ascoltare la stupenda versione di “Spanish Is The Loving Tongue”, solo voce e pianoforte, la vecchia hit di Elvis che, in versione orribile, era già stata pubblicata nella raccolta di scarti intitolata “Dylan”. Henry volle sottolineare i piccoli dettagli di quel brano oscuro, dimostrando la passione ed il buon gusto che lo guidavano nella sua straordinaria carriera, passando dal songwriting folk all’alternative country, dal jazz allo sperimentalismo elettronico, mai pago, sempre esplorando nuove dimensioni sonore. Per non parlare poi dei capolavori che ha prodotto: da Ani DiFranco a Solomon Burke, da Allen Toussaint a Elvis Costello, da Loudon Wainwright a Mose Allison e tanti altri ancora a cui non ha solo dato, ma anche ricevuto in cambio la possibilità di scoprire nuovi mondi e possibilità nel vestire musicalmente ogni artista con cui ha avuto a che fare, compreso lui stesso.
Esce ora, un po’ a sorpresa un nuovo lavoro, registrato in un paio di giorni lo scorso giugno. Sembra un disco dai toni dimessi e impregnato della paura per la malattia che gli è stata recentemente comunicata. In realtà è un ulteriore tassello che va ad impreziosire una discografia di un grande artista, anzi di un maestro.
Ascoltate il pezzo “Green of the afternoon?” ricco di vibrazioni che contengono tutta l’arte del nostro. Joe è un gigante nel saper presentare l’eredità della tradizione vestendola con un tocco di modernità, e utilizzando le sue doti di produttore per far risaltare il tocco di strumentisti di vaglia quali Patrick Warren e John Smith.
Si passa dalla dolcezza (“In time for tomorrow”) alla meditazione poetica (“Salt and Sugar”) in un continuo cambio di scenari tra rarefazione ed estasi contemplativa. Ascoltate la conclusiva “Choir boy” dove il sax è capace di stringervi il cuore come difficilmente sarà successo in passato.
Il mio consiglio è quello di gustarvi nota dopo nota la raccolta nella quiete della sera, solo così riuscirete a penetrare a fondo nell’arte di uno dei migliori songwriters di sempre, anche se lui non si considera tale!!!


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