JAMES BRANDON LEWIS – ‘Jesup Wagon’ cover albumErano anni che il jazz attendeva un lavoro come questo. Splendido nella totale sua interezza, capace di riportare ‘il jazz nel jazz’ dopo tanti anni e tante nuove incisioni che i critici hanno valutato con attenzione e spesso incensate come lo sforzo creativo del guardare avanti, pur ‘rimanendo nobilmente avvinghiati alla tradizione’ e quindi collocati nell’ambito del già pesantemente ascoltato.

Finalmelte un disco, “Jesup Wagon”, e un musicista, James Brandon Lewis, a cui non interessano critiche positive così come l’essere collocato in una situazione musicale piuttosto che in un’altra. Quello che si può affermare è che si tratta di uno dei jazzisti più creativi degli ultimi decenni. Nella riuscita dell’opera in questione non è estraneo l’apporto della band d’accompagnamento, che comprende strumentisti quali il cornettista Kirk Knuffke, approdato alla scuola d’avanguardia newyorkese del compianto Butch Morris e che condivide l’estremo senso di libertà musicale con il violoncellista Chris Hoffman, poeta accanto allo stesso Morris e a Henry Threadgill. Ma ci sono anche sua maestà William Parker, davvero leggenda vivente per via di essere il più attuale grande innovatore del contrabbasso moderno e, ciliegina sulla torta, l’immensità ritmica di Chad Taylor, geniale batterista capace di unire teoria e sperimentazione come davvero pochissimi altri.

La traccia di apertura di “Jesup Wagon”, una celebrazione musicale concettuale della vita, del lavoro e delle innovazioni del polimatematico del XX secolo George Washington Carver, è un’illustrazione. Il suo tenore solista geme nell’intro, giace saldamente nel delta del Mississippi prima di ammettere il modalismo clacson di John Coltrane. Il Red Lily Quintet lo incornicia con la batteria da parata marziale in stile New Orleans di Chad Taylor, la linea di basso circolare di William Parker e l’assolo stridente di cornetta di Kirk Knuffke, prima che tornassero insieme su un breve tema di Ornette Coleman- à la “Lonely Woman” – quindi esplorare l’improvvisazione di gruppo senza abbandonare l’atmosfera blues.

In “Lowlands of Sorrow”, il violoncello di Hoffman incontra il kit e la marimba di Taylor e il gimbri di Parker e in un canto ritmico triplo metro, call-and-response. Lewis e Knuffke rispondono all’unisono con assoli canny e profondamente risonanti. La ballata “Arachis” inizia come un lamento funebre. Parker, Knuffke e Lewis emulano la classica parata da funerale, mentre Hoffman si inchina per sottolineare i cambiamenti chiave. Quando Taylor entra con rotoli, riempimenti e accenti a flusso libero, aumenta la tensione intorno al centro tonale fino a quando non lascia il posto all’appassionato assolo angolare del tenorista. Quando Knuffke fa da solista, l’interazione di vasta portata della sezione ritmica offre una solida base che abbraccia ed esplora, aggiungendo dimensione strutturale prima della guida da solo di Parker.

“Fallen Flowers” inizia con un’interazione sfalsata di corno call-and-response, creando un manifesto lirico che governa l’intera melodia. Hoffman collega la sezione in prima linea, mentre costruisce il motivo melodico con uno stridente impulso da plettro. “Experiment Station” segue un percorso cineticamente poliritmico verso l’esposizione e la scoperta lirica; Lewis accenna, poi articola la testa, esponendo le sue cuciture tematiche prima di dividerle aperte nel suo assolo. Il fin troppo breve “Seer” è incorniciato dalla mbira primordiale e ipnotica di Taylor, mentre la sua linea armonica suggerisce una musica folk ultraterrena. La chiusura, “Chemurgy”, torna al blues, ma in un modo molto diverso. Knuffke e Lewis offrono riempimenti dichiarativi e assoli modali emotivi, mentre Parker e Hoffman creano ritmi pulsanti e circolari che Taylor balla ed espande con il suo kit.

Lewis usa il blues e il folk necessari per dipingere una storia perfetta e riesce a coinvolgere nella sua ricerca il magnifico ensemble scelto per creare questo bellissimo lavoro. L’idea ricalca ciò che filosoficamente rincorrevano moltissimi artisti dell’area chicagoana doc: il navigare a cavallo fra la cultura nera e lo sperimentalismo, toccando la tavolozza dei colori della saggezza, dei miti e della moralità che accompagnano la storia umana.

In breve, un lavoro quasi profetico e davvero ben diverso da un qualsivoglia altro disco jazz di questi tempi!!!


 

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