Israel Nash è tornato con “Topaz”, il suo primo album dal 2018, l’acclamato dalla critica “Lifted” che meritatamente è stato inserito nella mia personale lista di fine anno per essere considerato una delle migliori pubblicazioni. L’uscita di “Topaz” è avvenuta in marzo, viene descritto come ‘un trionfante esperimento rock-and-roll, ricco di fiati, ritornelli gospel, spavalderia, speranza e dolore’. Per non farcene mancare ulteriormente, visto che ne abbiamo avuto abbastanza per un anno!
‘La musica può essere lo spazio in cui le persone pensano, anche solo per pochi minuti’, afferma Nash. ‘Lo spazio non riguarda il cambiamento delle loro vite, delle opinioni politiche o del biglietto del partito. Si tratta di creare qualcosa che stimoli la riflessione in un momento – e quelle riflessioni hanno altre reazioni a catena’.
Per celebrare l’annuncio, Nash aveva condiviso il “Topaz EP” – 5 tracce tratte dall’album in uscita – insieme al video di una performance live intima di ‘Canyonheart’ girato nel suo studio di casa ‘Plum Creek Sound’ nel cuore del Texas Hill Country, Austin.
Il titolo del disco ha subito attirato la mia attenzione perché richiama il film di Alfred Hitchcock del 1969 e ci presenta l’autore in veste lisergica con visioni cosmiche, non più il cantautore che avevamo imparato ad amare circa una decina di anni fa grazie ad una musica di incandescente folk elettrico. Ora nel suono si mescolano acidità west-coast, momenti onirici che evocano David Crosby, rock desertico con code strumentali e visioni e sentimenti che già avevano interessato musicisti quali Neil Young, Byrds, Youngbloods e, in tempi recenti, Jonathan Wilson.
“Topaz” segna il primo album che Nash ha registrato principalmente da solo, sia prendendosi il suo tempo che assaporando il suo ritrovato accesso all’immediatezza, premendo il pulsante rosso pochi istanti dopo che un’idea è stata colpita. ‘Mi ha permesso di catturare suoni e idee, di far uscire davvero le cose dalla mia testa e metterle nel mondo così velocemente’, dice Nash. Ascolta la bellezza ipnotica del brano “Canyonheart”, con la sua armonica drammatica che rimanda a Dylan, oppure l’iniziale e psichedelica “Dividing Lines” che sembra trasportarti all’indietro nel tempo.
Su “Topaz”, Israel riflette liricamente sull’attuale divario politico, mentre approfondisce anche argomenti più personali come la famiglia e la casa. L’album è allo stesso tempo crudo e raffinato, contemplativo e avvincente, morbido ma potente. “Dividing Lines” definisce il tono e il messaggio con temi di scisma e discordia. La chitarra acuta di un uccello canoro dà il via a “Closer”, una canzone dolorosamente carina con armonica abbandonata e pedal steel che danno voce alle lacrime. “Stay” confessa senza problemi che la casa è dove risiede l’amore, ovunque sia. Le note confortanti di “Howling Wind” sembrano un vecchio amico, affidabile e rassicurante, mentre “Pressure” riecheggia la lotta costante che circonda così tanti oggi.
Mentre i primi paragoni sonori con Neil Young rimangono comprensibili, la voce di Nash canticchia e si trasforma in un canto soul gutturale completo – con furia che fa venire la pelle d’oca. “Down in the Country”, un nuovo classico paludoso che suona come se fosse sempre esistito, avrebbe potuto essere cantato da Wilson Pickett. Nash raggiunge una cadenza sbalorditiva quando canta, adottando un modo distinto di fermarsi per dare agli ascoltatori il tempo di pensare a ciò che hanno appena sentito – ma anche lasciando aperta la possibilità di sorpresa su dove il nostro decide di portarlo dopo. ‘Voglio che la voce risulti percussiva con la batteria, perché quando quella roba va insieme come uno strumento, è ipnotica. È un viaggio’, dice Nash. ‘A volte si tratta di radere o aggiungere le parole più piccole solo per trasformare la frase’.
Un disco che sa trasmettere il fascino del tempo che fu e che oggi sembra ritrovato!!!
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