A tre anni dal precedente “Temet”, la formazione algerina Imarhan torna con un nuovo album intitolato “Aboogi” uscito il 28 gennaio su City Slang. Lo ha anticipato il singolo “Achinkad” e relativo video, una piéce acustica costruita su un giro di arpeggi di chitarra e una melodia cantata dagli influssi mediterraneo/mediorientali. Nella parte finale, però, il pezzo sale vertiginosamente di tono riecheggiando urla di nativi simili a quelle degli indiani d’America che si perdono nella vastità di grandi e desolati spazi desertici, a costruire un ideale ponte tra Oriente e Occidente.
Nel 2019, i nostri, una band con legami di sangue e creativi con Tinariwen, ha iniziato a costruire uno studio a Tamanrasset, in Algeria, una delle principali città di Kel Tamasheq che l’ensemble chiama casa. Lo chiamarono Aboogi – per un tipo di struttura abitativa dei primi Kel Tamasheq – e lì iniziarono a registrare il proprio omonimo album. Come ogni disco di Imarhan fino ad oggi, “Aboogi” è estasiato, caratterizzato da calde armonie vocali, commenti taglienti e agili chitarre. All’interno di questa struttura riconoscibile, tuttavia, il gruppo suona più in bilico che mai, la produzione è messa a punto e gli strumenti si sovrappongono in strati organici e onirici. Hanno sempre creato lavori squisiti, ma questo è un gradino sopra i loro due rilasci precedenti in termini di come ogni pezzo artistico si unisce.
Scelta strana, ma sono i singoli ad aprire e chiudere il lavoro. Di “Achinkad” vi ho già detto, aggiungo solamente che si tratta di una storia allegorica di una gazzella che deve fuggire dalla sua terra natale e dalla sua famiglia per salvarsi la vita, una ballata malinconica in cui il cantante Sadam è affiancato da un gruppo sempre crescente di cantanti in ogni ritornello senza parole. Urgente e avvincente, questa protesta contro la guerra sottilmente velata offre un’apertura drammatica.
All’altra estremità del disco c’è la traccia di chiusura “Adar Newlan”, una collaborazione con Gruff Rhys dei Super Furry Animals, tra le altre cose. Una cascata di strimpellamenti estatici conduce direttamente ai dolci versi gallesi di cameratismo di Rhys. Seguendolo, le linee di chitarra intrecciate incorniciano le espressioni in lingua tamasheq dei dolori di una nazione esausta, che vengono concluse da un’iterazione finale dell’invito ottimista di Gruff alla solidarietà e al tè forte.
Tra questi due brani di spicco ci sono canzoni di storia, società moderna e angoscia in cui la formazione accoglie spesso amici al di fuori del quintetto principale. Il musicista francese Marco Ngoni porta Gnawa guembri sui loop dell’ode “Laouni”. Rhys aggiunge una linea di chitarra ondeggiante e cori alla dolce solennità di “Imaslan N’Assouf”. La cantante sudanese Sulafa Elyas canta un verso arabo ferocemente toccante sul malato d’amore “Taghadart”.
La ‘Bluesy’ “Tamiditin” presenta il defunto poeta e co-fondatore di Tinariwen Mohamed Ag Itlale, noto come Japonais, la sua caratteristica voce ruvida che prende il comando in una delle sue ultime registrazioni. Un altro membro di Tinariwen, Abdallah Ag Alhousseyni, canta insieme a Sadam nell’epica battaglia “Tindjatan”. Ognuno di questi ospiti serve bene la musica, rafforzando lo spirito di comunità abbracciato durante il lavoro dei nostri. “Aboogi” è ricco di momenti luminosi. L’apertura essenziale di “Derhan” offre una vivace dimostrazione di abilità con gli archi su ritmi nitidi. Lamento per l’egoismo della società, “Temet” è tagliato da fitte dissonanti che comunicano disperazione a livello viscerale. Forse la traccia più squisita è “Asof”, una canzone di profondo desiderio personale e tradimento su cui un cuscino di sintetizzatori fluttua sotto la tensione di chitarre ribollenti e voci in costante costruzione. In seguito, “Assossam” è un rifiuto palese e febbrile di rimanere in silenzio di fronte allo sfollamento e alla distruzione dall’alto verso il basso.
“Aboogi” è, a detta dell’ensemble, l’album più ambizioso della loro produzione. Un’opera che – appunto – omaggia quella cultura Tuareg che negli anni ha influenzato tantissimi artisti occidentali. Gli Imarhan sono un simbolo della presente generazione Tuareg con il loro desert blues dagli aromi arcaici, tributo a quella cultura di cui fanno parte e di cui sono oggi considerati tra i principali portavoce in ambito musicale!!!
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