L’album d’esordio degli Idles si apre con un urlo sbrindellato di voce femminile, NO SURRENDER!
Gli Idles sono un gruppo di Bristol formato da Joe Talbot (voce), Mark Bowen (chitarra), Lee Kiernan (chitarra) Adam Devonshire (basso) e Jon Beavis (batteria).
‘Brutalism’ si situa musicalmente all’interno del panorama punk/hardcore ma si contraddistingue per l’assoluta franchezza del loro linguaggio musicale. ‘Nel genere che proponiamo non c’è nulla di innovativo’, sottolinea il leader Joe Talbot in un’intervista, ma, ascoltare per credere, la loro proposta è talmente piena di energia vitale che ci si trova a pensare che finalmente siamo al cospetto di canzoni che urlano e sanguinano.
Ogni brano racconta uno spaccato di vita misera, mettendo alla gogna tanto la debolezza degli individui oppressi che la vacuità dei cosiddetti vincenti; bersagli preferiti delle invettive di Talbot le ‘celebrities’ dei media britannici e noti artisti di vari ambiti. (Da ‘Stendhal Syndrome’: Did you see that drawing what Basquiat done? Looks like it was drawn by my four-year-old son. Hot air)
Importante sottolineare il caustico senso dello humor che impregna ogni singolo testo, e che scaturisce in modo evidente nelle loro performances dal vivo.
‘Mother’ suona come una chiamata alle armi per la classe operaia (‘My mother worked 15 hours 5 days a week / My mother worked 16 hours 6 days a week / My mother worked 17 hours 7 days a week’ … ‘The best way to scare a torie is to read and get rich’) affinché lotti per un sovvertimento della condizione attuale.
Tutto questo urlato in modo sgradevole e un po’ stonato, su ritmiche spesso molto veloci, basso incalzante e chitarre taglienti.
Aleggiano i fantasmi di Henry Rollins, Mark E. Smith e Johnny Rotten, ma ‘Brutalism’ è un disco molto potente e pieno di violenza, (nella sua accezione etimologica), di quella violenza che esprime il fiore che sboccia, come diceva Jean Genet, ovvero la forza vitale che si contrappone alla brutalità.
A dispetto del titolo.

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