Horsegirl ha inchiodato saldamente i propri colori all’albero maestro quando ha rilasciato il singolo spassoso “World of Pots and Pans”. La traccia – la prima condivisa dal loro album di debutto “Versions of Modern Performance” – è una foschia ricca di riferimenti di shamble pop, che richiama dal punto di vista sonoro i luminari della Slumberland Records, spesso dimenticati, Black Tambourine e strizza l’occhio a The Pastels, Beat Happening e The Cure. Più difficile che mettere insieme i testi di questi antenati è catturare il loro vertiginoso romanticismo ma, elettrizzante, questo è ciò che Horsegirl ottiene.
Le tre ragazze sono cresciute a Chicago, imparando separatamente a suonare musica in programmi di arte giovanile come School of Rock e Old Town prima di entrare in contatto ad uno spettacolo di magazzini fai-da-te alla fine del 2018. ‘Nora ed io avevamo iniziato a suonare la chitarra insieme al quel punto, ma era la prima volta che suonavamo davvero con un’altra persona, e ci siamo trovati benissimo’, dice Lowenstein, che condivide i compiti di chitarra e voce con Cheng mentre Reece è alla batteria.
Durante i ritrovi e le sessioni, il trio si dedicava anche – e attingeva – a diversi aspetti sonori delle loro band indie preferite di un tempo: la ripetizione schioccante di “Entertainment!” (Gang of Four), la sporcizia di un accordo delle chitarre di The Clean, gli arrangiamenti vocali di Stereolab, praticamente tutto ciò che riguarda i Sonic Youth. Queste influenze informano “Versions of Modern Performance”, che è stato registrato all’Electric Audio di Chicago con il produttore John Agnello (The Breeders, Dinosaur Jr.), ma Horsegirl sintetizza i tratti distintivi del post-punk, dell’indie rock e del pop in un prodotto attuale e vitale.
Che il disco esca su Matador – etichetta sinonimo di indie rock anni ’90 – sembra perfettamente azzeccato; questo LP avrebbe potuto facilmente ottenere una distinzione di fine mandato dalla scuola rock ritratta nel video “Sugarcube” di Yo La Tengo. Le adolescenti di Chicago, composte da Penelope Lownestein, Nora Cheng e Gigi Reece, escono al galoppo dalle trappole con “Anti-Glory”, un’apertura imponente che si trasforma in una delirante frenesia della pista da ballo. La batteria propulsiva introduce linee di chitarra contorte; entrambi cadendo per un ritornello che ripete incessantemente ‘Balla con me’. Altrettanto urgente è il vorticoso climax di “Billy”, dove onde angosciate di turbolenza shoegaze si fondono in un vortice di tensione frenetica.
Altrove la luce entra e i bordi si ammorbidiscono. Prendi, ad esempio, la voce svolazzante di “Beautiful Song” o il detergente strumentale del palato “Guitar is Dead”; in questi momenti le tastiere delicate permettono a Horsegirl di addentrarsi nella fragilità delle lamentose registrazioni casalinghe di Daniel Johnston.
“Versions of Modern Performance” non sono roba da pastiche o mimetismo; invece il trio si toglie il berretto mentre crea un mondo tutto proprio. “World of Pots and Pans” sembra perfettamente rappresentativo: traccia un lignaggio di cult preferiti di cui Horsegirl ora può considerarsi parte. Percorre la linea dell’essere sicuri di sé mentre incanala l’energia caotica di coloro che ammirano. Ciò che resta è una spontaneità che sembra nata dalle prove del doposcuola, basata su percussioni improvvisate pizzicate dalla cucina!!!
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