HOLLIE COOK – ‘Happy Hour’ cover albumIl cuore pulsante della potente serie di film storici di Steve McQueen, “Small Axe”, era la musica della Black England tra la metà e la fine del 21° secolo, e il miglior episodio è stato “Lovers rock” Celebrando il sottogenere reggae del titolo, il film, della durata di un’ora, ruotava attorno a una scena da ballo di una festa in casa londinese, con una gloriosa colonna sonora del referendum sul corteggiamento di Janet Kay del 1979 “Silly Games”.

Per alcuni è stato un promemoria, per altri una rivelazione, di uno stile che nel suo periodo di massimo splendore aveva poco fascino al di fuori del Regno Unito e della Giamaica: un fratello del soul di Philly che era meno interessato alla politica o alla teologia rasta quanto, piuttosto,ai campi di battaglia del cuore. Nonostante gli uomini si distinguessero sicuramente nel Lovers rock, era uno spazio meno dominato dalla componente maschile rispetto al roots reggae, specialmente nel Regno Unito, in cui fioriva e dove le donne brillavano, anche quando la loro libertà di scelta veniva spesso negata. Gli artisti inglesi al di fuori del genere hanno sentito il fascino dolce e sensuale: Sade ha riflesso la sua influenza su un album che porta il suo nome, così come i Clash al culmine di “London Calling”.

Hollie Cook, una cantante cresciuta a Londra, sulla trentina, ha perso l’età dell’oro di quella musica, ma negli ultimi dieci anni è diventata la sua più notevole spinta, ampliandone le possibilità nel modo in cui Sharon Jones ha catturato il soul degli anni ’70.

Il suo quarto LP (quinto se si contano il remix di Prince Fatty “Hollie Cook in Dub”) raffina il suono muscoloso, che è tanto un’eco delle dure radici britanniche di Aswad quanto l’approccio del tessuto di seta di Janet Kay e Caroll Thompson. La figlia di Paul Cook, il batterista dei Sex Pistols, e la corista dei Culture Club, Jeni Cook (Boy George è il padrino di Hollie), ha iniziato la carriera come membro di The Last Days of The Slits, il che spiegherebbe la sua inclinazione per i bordi grezzi. La tensione tra il basso e il forte anima il suo suono.

La title track fa eco ai tamburi e ai piatti di Ben McKone, che battono attraverso nuvole di riverbero, evocando la sensazione vertiginosa di due o tre drink, mentre la cantante si lamenta che i ‘Margarita’ non possano curare il proprio dolore agonizzante. In “Moving On”, promette di scaricare un partner velenoso, mentre un acuto quartetto d’archi telegrafa una nauseante, echeggiante incertezza. Gli inni ‘all’erba’ sono tradizione reggae, come le ballate sul whiskey lo sono in Gran Bretagna, e “Kush Kween” sostiene i benefici psichici del giardinaggio, oltre a consumare il raccolto, con un’apparizione come ospite del cantante giamaicano Jah9. Ma i momenti migliori si discostano dalla tradizione. In “Gold Girl”, la Cook guarda a una ‘femme fatale’ con drammi vocali della vecchia scuola che si dispiegano sugli archi e mescolano buffonate da tavolo come una triangolazione di pietre miliari britanniche quali Shirley Bassey, The Slits e Soul II Soul. “Move My Way” aggiorna il mix con un tocco di garage britannico degli anni ’90, suggerendo che il suono di Hollie potrebbe andare in una nuova direzione, collocando il Lovers rock in un continuum di invenzioni musicali britanniche nere come l’eccellente Soul Jazz propone con le proprie compilation “Living Between Islands”.

Il nuovo album è stato registrato con i musicisti Ben McKone e Luke Allwood dei General Roots e prodotto da Youth. Ma il posto per gli ospiti più notevole è il più sottile. Dennis “Blackbeard” Bovell, noto per il suo lavoro fondamentale con Linton Kwesi Johnson, è un architetto del dub britannico e del Lovers rock, che ha scritto “Silly Games” e ha anche avuto un cameo nel film di McQueen. In “Praying”, il leggendario produttore si unisce ai coristi della nostra per esprimere la resilienza collettiva di fronte al crepacuore, chiedendosi ‘cosa succederà?’ e distruggendo ‘la falsa speranza che siamo stati benedetti’. Mentre la cantante insiste sul ‘ce la faremo in qualche modo’, la traccia allude alla politica culturale nascosta degli appassionati del rock, mentre fa un cenno a un antenato creativo.

Ascoltatelo, che amiate il genere o no, ne uscirete felici e soddisfatti!!!


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