HEINER GOEBBELS – ‘A House Of Call’ cover albumEseguita per la prima volta l’anno scorso, la “phonographic collection from my imaginary notebook” di Heiner Goebbels è il suo primo grande lavoro orchestrale dopo la suite “Surrogate Cities” del 1994.

Lo descrive come un ciclo di invocazioni, preghiere, poesie e canti per una grande orchestra, ma, come sempre con Goebbels, non è così semplice. Il titolo deriva da un verso del “Finnegans Wake” di James Joyce; all’inizio del 19° secolo in Inghilterra, un ‘house of call’ era uno spazio pubblico in cui gli artigiani itineranti potevano mettere le proprie abilità a noleggio, e la colonna sonora di 100 minuti crea uno spazio in cui le voci registrate, che Heiner ha ricavato da cilindri di cera, notizie e fonti etnografiche possono ricevere un contesto politico o storico e una risposta musicale.

Tra le voci e i testi a cui si fa qui riferimento ci sono Samuel Beckett e Heiner Müller, il poeta persiano sufi Rumi e il compositore armeno e collezionista di canzoni popolari Komitas; ci sono registrazioni sul campo dall’Amazzonia e dalla Namibia e dai prigionieri georgiani durante la prima guerra mondiale, e la musica è altrettanto varia.

I 15 movimenti di “A House of Call”, raggruppati in quattro parti, includono momenti di martellante jazz-rock (forse uno sguardo agli anni ’80, quando l’artista era un membro del gruppo Cassiber), attraverso spigolose dislocazioni ritmiche direttamente da Stravinsky a trame disintegranti ai margini della musica. Ma ci sono anche momenti di straordinaria delicatezza, quando solo uno strumento solista sostiene un canto o un coro lontano, come nella seconda parte, “Grain de la Voix” (titolo preso in prestito da Roland Barthes), costruita attorno a registrazioni dal Caucaso.

Una citazione di Beckett, ‘When Words Gone’, fornisce il titolo della sezione finale, che è costruita attorno a incantesimi.

L’uso dell’orchestra da parte del nostro, che include chitarra elettrica, fisarmonica e salterio, è qui più fantasioso; il finale, per le sole voci cantilenanti, è ipnotizzante. Anche se parte della sottile interazione tra le voci registrate e gli strumenti dal vivo è inevitabilmente persa su disco (un concerto di “A House of Call” è previsto a Londra la prossima primavera) è ancora un lavoro affascinante, straordinariamente bello!!!


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