Sviluppatosi nella scena DIY di Los Angeles, il ‘bedroom pop’ di Hana Vu ha sempre suggerito che ci sarà qualcosa di più grandioso in arrivo. Nel suo EP del 2018, “Crying on the Subway”, e nel suo seguito, “Nicole Kidman/Anne Hathaway”, Vu ha continuato a esplorare il proprio sound. E mentre quell’autoproduzione è stata più solida che espansiva, è incredibilmente impressionante per un’artista che all’epoca era ancora alla fine della sua adolescenza.
“Public Storage”, il terzo record di Hana, potrebbe infatti essere considerato un’unità di stoccaggio. Ognuna delle dodici tracce dell’album funge da contenitore per i pensieri e i sentimenti della musicista ventunenne e, nel complesso, è una testimonianza di quanto possa essere pesante trasportarli. Co-prodotto con Jackson Phillips (Day Wave), il suono di Vu è cresciuto fino a diventare un po’ più raffinato dal suo debutto, “How Many Times Have You Driven By” (2018), da cui ha introdotto la traccia “Crying on the Subway” lei come una voce fresca ed emotiva che potrebbe reggere il confronto con artisti del calibro di Jay Som e Black Belt Eagle Scout.
Dall’introspettivo primo brano, “April Fool”, al ritmo pop anni ’80 di “Aubade” e al banjo pizzicato di “Maker”, la nuova fatica è un viaggio avvincente che porta l’ascoltatore mentre la nostra disfa le scatole della sua psiche.
Nella title track, quella voce triste si evolve in qualcosa di più sicuro di sé e assertivo, liberandosi senza staccarsi completamente: una canzone destinata a un mondo di colonne sonore cinematografiche e piovose. La giovane autrice trova quindi la sua voce power pop nella pompa orchestrale guidata dalla chitarra di “Gutter”, cambia marcia nella discoteca angosciante di “Aubade” e fa anche suonare “Everybody’s Birthday” distaccato e glamour come una festa di Beverly Hills a cui non eri stato invitato a partecipare. Molte delle canzoni di “Public Storage” contengono sfumature inquietanti e ascoltarle sembra di camminare da soli di notte. Sebbene non ci siano collegamenti deboli sul disco, “Keeper” è un evidente standout con un ritmo incisivo e segna la svolta della notevole seconda metà della raccolta. Il feedback della chitarra dà il via alla traccia successiva, “Gutter”, e sembra che Hana si sia scrollata di dosso una foschia per la prima volta nell’album. La sua voce è forte e chiara, e la canzone è un inno: ‘Sulla mia parola / Calciami dalla grondaia al marciapiede’, canta con riff sfocati e punk.
I testi semplici, ma poetici, sono stati una forza costante in tutta la sua discografia. Nella traccia “Maker” di Sufjan Stevens, Vu mormora, ‘Maker incontra il tuo super / Incontra il tuo amante / Incontra il tuo perdente / Qual è il tuo numero / Sono una parola di 3 lettere come te’. Le rime in loop hanno un effetto incantevole. Il tono vocale lunatico e ricco si aggiunge all’incanto, e in brani come “My House” e “Everybody’s Birthday”, le sue parole sembrano grondare di intrighi e vecchio glamour di Hollywood.
Solitudine, delusione, sentirsi incompresi: tutte le meditazioni vengono riposte nei contenitori delle sue canzoni su “Public Storage”. ‘Non sono viva, sono solo dentro / ho le mie cose, sono tutta nascosta’, canta in “I Got”. La copertina dell’LP, così come la grafica per i singoli, è abbellita da foto ravvicinate (e un po’ snervanti) di parti del corpo umano: l’interno di una bocca, un orecchio scolorito, un occhio bordato di kohl imbottito dal suo sangue- tessuto rosso. Anche l’arte sembra alludere al fatto che, come il disco, i nostri stessi corpi sono semplicemente un particolare tipo di deposito. ‘Non riesco proprio a credere di essere qui / Tutta la vita è debole e andrà persa’, canta su “Aubade”, un promemoria che l’esperienza umana è piuttosto assurda. Almeno possiamo goderci la musica!!!
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