GOD IS AN ASTRONAUT – ‘The Beginning Of The End’ cover album“The Beginning of the End” è un’uscita dal vivo in studio dei post-rocker irlandesi God Is An Astronaut ed è fondamentalmente una registrazione dal vivo del loro debutto del 2002 “The End Of The Beginning” che utilizza alcune tecniche diverse e più avanzate senza oscurare l’essenza delle melodie originali e strutture del canto.

Questo è il mio primo contatto con questa band e la loro musica da lungo tempo a questa parte, anche se finora hanno pubblicato un totale di dieci album in studio… ma credo che, essendo il post-rock un genere a me caro, fosse logico tornare indietro e riprendere in mano il loro debutto per poter avere un quadro migliore di ciò che stavo ascoltando ed essere in grado di inviare una recensione obiettiva, e questi sono i miei pensieri sull’album.

Mi piace di più questa versione perché i valori di produzione del 2022 migliorano la maturità musicale della band, la batteria suona in modo sorprendente, più grezza, meno prodotta, autentica e potente e questo bilancia l’aspetto elettronico della loro musica che era più evidente nella versione originale.

Le lezioni apprese in due decenni di spettacoli dal vivo suonati in giro per il mondo hanno un impatto positivo sul risultato, tutto è più udibile e quindi più divertente.

Questa formazione sa come creare arrangiamenti molto raffinati, dare vita a trame e tonalità uniche sui loro strumenti e questa forza rende più facile per loro integrare variazioni logiche e intelligenti alle loro canzoni, trasformarle leggermente e renderle sia reali che trascendentali.

I miglioramenti più evidenti si possono sentire su “From Dust to Beyond”, “Coda”, “Fall from The Stars” e “Route 666”, suonano tutti più pesanti e più memorabili, e mostra come dopo così tanti anni queste tracce possano brillare di una luce rinnovata e di una musicalità migliorata.

C’è da dire che la formazione irlandese ha compiuto dal debutto una notevole crescita artistica, soprattutto nella dimensione live più che quella in studio, infatti ai loro lavori è sempre stata attribuita un’uniformità stilistica che non li ha mai portati a raggiungere le vette degli scozzesi Mogwai.

L’idea di celebrare il ventennale dell’esordio la trovo una scelta azzeccata perché i brani hanno acquisito in potenza e ricchezza d’arrangiamenti, le chitarre sono più presenti e rumorose e le composizioni aumentano il volume e l’esempio più evidente del miglioramento è rappresentato da “Route 666”. La proposta dei nostri irlandesi è molto malinconica e fredda, ma abbastanza piacevole, una buona interpretazione del loro classico di vent’anni fa!!!


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