FACS- “Void Moments”Brian Case rimane tra gli eletti della scena sotterranea di Chicago, prima coi 90 Day men e successivamente coi Disappear (che contano dei fantastici lavori per Kranky uno realizzato addirittura in combutta con Steve Shelley dei Sonic Youth) ha dato corpo a teorie musicali coraggiose arrampicandosi prima sulle asperità del più angolare post-punk, sfiorando successivamente i ritmi di un groove distopico che vedeva il dancefloor comunque a distanze siderali. Con il nuovo ingresso di Alianna Kalaba al basso (solitamente gira con Cat Power nel ruolo di batterista) i nuovi Facs prendono forma tra sound poetry, ritmi motorici e bassi profondi quasi in odor di dub.
Per Facs, ridefinire se stessi e la loro musica è uno stile di vita. Fortunatamente, sono costantemente grandi in questo. “Void Moments” è il secondo album della band con la bassista Alianna Kalaba, e sembra che la stabilità della formazione abbia permesso loro di essere ancora più audaci con la proposta sonora, che va di pari passo con le copertine che sono tutte di arte moderna, soffermandosi tra il brutalismo architettonico dell’avanguardia e l’arte pseudo-rappresentativa dei tipi di colore piatto e più geometricamente ossessionante.
Al loro terzo full-length sembrano apparire melodie, armonie e texture che già avevano introdotto sul precedente “ Lifelike”, dando ancora più profondità. Con il suo ritmo nervoso e straziante, “Boy” inizialmente suona come un outtake dell’esordio, “Negative Houses”, ma il modo in cui le linee di chitarra angolari di Brian Case giocano contro i poliritmi furtivi di Noah Legerin creano un’illusione audio mutevole e una complessità ipnotizzante che si materializza come nuova.
Come su “Lifelike”, gli elementi melodici e armonici di “Void Moments” rendono i Facs ancora più singolari invece che più convenzionali. Chitarre tremule attraversano l’album, fluttuando sopra la densità ritmica e connotando di un’inquietante sensualità brani come “Casual Indifference”.
Quelle chitarre senza peso sono al centro della scena su “Version”, un affascinante collage di shoegaze a gravità zero, atmosfere spettrali di Dub e un’interazione jazz e a ruota libera che culmina in una catarsi trionfale e rumorosa.
Anche se la violenza post-punk del modo in cui suona il trio è innegabile, la complessità delle loro esibizioni è altrettanto notevole. Leger rimane un batterista brillante; in “Teenage Hive”, sembra che stia avendo una conversazione con se stesso sul suo kit mentre lega insieme il basso teso di Kalaba e la chitarra radiante di Case. In “Void Walker”, ogni membro del gruppo traccia diverse traiettorie che si completano perfettamente a vicenda. Quando chiudono l’album con il monumentale “Dub Over”, la grandiosità della traccia fa sentire come se potessero fare qualsiasi cosa. Richiedono attenzione massima durante l’ascolto, ma sanno ripagare con un una musica sbalorditiva che utilizza il minimalismo e lo spazio per creare rock d’arte astratto e moderno.
Esemplari!!!


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