EARTHEN SEA – ‘Ghost Poems’  cover albumJacob Long è stato immerso fino alle ginocchia nell’underground punk DIY negli ultimi due decenni, trascorrendo del tempo in un paio di amate band.

All’inizio, Long distribuiva un pasticcio pazzesco di postpunk e free jazz con i suoi amici nella band della Dischord Records dalla vita troppo breve, i Black Eyes, prima di volare da Washington a San Francisco per dare un seguito più morbido e danzabile con i Mi Ami.

Non molto tempo dopo lo scioglimento di quei gruppi, Jacob si è reinventato come Earthen Sea, un progetto individuale la cui fusione rivelatrice di dub, techno, ambient ed elettronica sembra che possa dare il via ad episodi che alterano la mente.

Negli ultimi anni, il nostro è stato prolifico come Earthen Sea, sfornando una piccola montagna di full-lenght e singoli (dai un’occhiata alla sua pagina Bandcamp in continua espansione), e la sua produzione per l’etichetta Kranky di Chicago è roba di livello successivo.

L’affinità con l’artigianato per l’inebriante “An Act of Love” e le atmosferiche astrazioni di “Grass and Trees” del 2019. Esplora vibrazioni simili nel suo nuovo e sorprendente terzo album per la Kranky, “Ghost Poems”.

Messo insieme nel proprio studio domestico a New York City mentre era rinchiuso durante il primo blocco, i suoi dieci esperimenti stravaganti trasudano un arioso mix di turbolenza e claustrofobia.

L’album potrebbe essere pensato come una colonna sonora della pandemia; queste melodie tintinnanti sono perfette per suonare a tutto volume dagli auricolari, mentre cammini per strade desolate. Le manopole di Long che girano, i sintetizzatori schizzano e le registrazioni ‘trovate’ hanno una qualità inquietante, ma i panorami sonori creati dai suoi toni e schemi sembrano fluttuare dall’alto come piccoli miracoli che rilassano la mente.

I ritmi e queste meditazioni si fondono l’una nell’altra senza sforzo. Brani confusi e pulsanti come “Slate Horizon”, “Deep Sky” e “Stolen Time” sembrano trasmissioni aliene da qualche altra galassia. Poesie di fantasmi, è una fuga gloriosa, le sue ricche stranezze materiche e i droni ultraterreni offrono ai fan un’immersione totale, in pochi secondi, dal gioco pressante.

Mi ha ricordato parecchio il lavoro di Mark Nelson nelle vesti di Pan American, con i sintetizzatori protagonisti nel pennellare paesaggi ambient che esprimono una malinconia senza fine, anche se credo di poter con sicurezza affermare che non siamo a quelle vette!!!


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