DRY CLEANING – ‘Stumpwork’ cover albumNel South Devon, c’è una tradizione di oltre 800 anni in cui un diluvio di centesimi bollenti viene lanciato dalle finestre su una processione che cammina per la strada. La tradizione nasce da un’idea proposta per attirare gli affari al mercato della città, e i penny (che ora sono semplicemente caldi per motivi di sicurezza) erano ardenti per la gioia dei ricchi, che guardavano i poveri bruciarsi le dita tentando di raccoglire il penny sparso. Come molte tradizioni, l’Honiton’s Hot Penny Day nasce da una prospettiva assurda che resiste in modo autosufficiente, allegramente e senza motivo. Si tratta di un’immagine rappresentativa del secondo ‘lungometraggio’ di Dry Cleaning come qualsiasi cosa Florence Shaw evoca al suo interno.

“Stumpwork” segue l’LP di debutto rivoluzionario di Dry Cleaning con un’altra raccolta di post-punk spigoloso e dal sapore indie intrecciato attraverso le riflessioni spassionate di Shaw. Sia nella gestazione che nell’esecuzione, è strettamente legato al suo predecessore e fornisce la stessa prova che i nostri sono davvero una band da album, quella che ha più senso in cui le loro canzoni sono ammucchiate l’una sull’altra come i vestiti in un guardaroba.

Qui, come prima, Dry Cleaning suona essenzialmente brani su Londra. La loro Londra, come la maggior parte delle altre città colpite dalla peste occidentale, è un lungo incubo post-capitalista in cui ogni angolo rivela un’altra ferita suturata da cui la magia è stata risucchiata. Sparsi dappertutto ci sono nudi momenti di leggerezza, umorismo e persino semplice gioia, ma si tratta di toppe in rilievo su una trapunta cucita con sfumature di ansia e anedonia.

È tutto un frastuono grigio-beige, tuttavia animato da una formazione la cui chimica continua a sbalordire, dagli ariosi avvolgimenti di chitarra di Tom Dowse al modo in cui l’abile spina dorsale percussiva di Nick Buxton si fonde con le linee di basso sfaccettate di Lewis Maynard. Non sono appariscenti, ma anche un minimo di attenzione rivela uno stuolo di astute decisioni compositive che sembrano sia organiche che scaltre. Notare il passaggio di Buxton tra clic sul cerchio e colpi di rullante in “Kwenchy Cups”, il wah-wah funky di Maynard in “Hot Penny Day”, o come Dowse piega i propri accordi in modo sinistro sullo shuffle introduttivo “Anna Calls From the Arctic”. Quando si incontrano, come alla conclusione clamorosa di “No Decent Shoes For Rain”, rivelano la loro abilità nel trarre pathos dallo sforzo combinato. La brillantezza dell’approccio alla scrittura dei testi di Florence si riduce al rifiuto di definire i suoi soggetti, mentre, contemporaneamente, si concentra sul sottotesto dietro i loro borbottii compilati.

Quella corrente sotterranea di malessere arriva al culmine in “Liberty Log”, la traccia più bella di “Stumpwork” e un discutibile picco nel giovane corpo di lavoro di Dry Cleaning. Sotto i miasmatici accordi di basso di Lewis e le strimpellate malaticce di Tom, la nostra esercita la moderazione lirica orbitando pateticamente attorno a un paio di righe sulla programmazione di Netflix. Descrive una festa in casa con l’entusiasmo di una funzione aziendale; in battute come ‘sentirsi liberi, sentirsi mobili’, l’ironia praticamente le gocciola dalla lingua. Mentre il suo snervamento avanza e il gruppo cresce fino ad un brivido meccanico, “Liberty Log” si trasforma in un incubo claustrofobico che cattura le nostre tendenze autodistruttive a costruire prigioni di comfort. Anche se la pandemia non fosse avvenuta, il suo potere sarebbe comunque notevole.

Come il precedente, il nuovo rilascio non è facilmente decodificabile al primo ascolto. Il lavoro di produzione di John Parish ha bisogno di un po’ di tempo per abituarsi, in particolare nel modo in cui tratta la voce di Shaw con una certa durezza metallica anche se le spinge in prima linea nel mix. Anche al di fuori di questo, i Dry Cleaning suonano ancora indie degli anni ’80 in ottuso cantato. Ma anche come “New Long Leg”, “Stumpwork” è degno di abitare completamente e capace di premiare molteplici ascolti. Il suo dettato finale, un consiglio su come trattenere la tua curiosità, sembra sia una chiave che una trappola, aiutandoci a renderci conto di quanto sia diventato difficile farlo!!!


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